Fluttuano
nell'aria, sono globi leggeri e luminosi… ma attenzione, perché sono venuti per
prendervi il corpo e l'anima. Tre morti inspiegabili a Londra, e, altrettanto
inspiegabili, tre resurrezioni. Ma quelli che sembravano essere il nemico non
sono, in realtà, il pericolo maggiore. Anzi, sono l'unico baluardo che potrà
arrestare il dilagare sulla Terra delle legioni infernali di Alhambra, e Dylan
si troverà a combattere al fianco di un angelo caduto e di questi inquietanti
alleati per la salvezza di tutti!
Il nono
gigante inaugura la non fortunatissima formula dei “dylandogoni” a storia unica
che si protrarrà per sette anni, fino al 2006. Per l’occasione, ai testi
troviamo una “guest star”, un gigante (giusto per restare in tema) del fumetto:
Robin Wood, purtroppo scomparso nell’ottobre 2021. Paraguayano di nascita e
argentino di adozione (nonché in seguito cittadino danese) Wood nell’Horror
Post del n. 170 (inedito) venne presentato ai lettori dylaniati come “uno dei
più grandi sceneggiatori al mondo”. E in effetti nel 2000 la sua produzione era
già praticamente sterminata e il suo nome era molto noto anche in Italia grazie
ai periodici dell’editoriale Eura (Skorpyo e Lanciostori) su cui erano state
pubblicate le storie di diversi dei suoi personaggi più famosi come Dago,
Savarese, Amanda e Martin Hel, tanto per citarne alcuni. Nonostante le
premesse, devo ammettere che questo primo gigante a storia unica mi lasciò con
l'amaro in bocca. Con le successive riletture l’ho parzialmente rivalutato: ci
sono indubbiamente delle parti piuttosto ben riuscite, come il prologo, qualche pregevole scena splatter (su tutte il
cuore estirpato a mani nude al poliziotto) e le suggestive sequenze oniriche
con protagonista Alhambra. Il problema è che le atmosfere pendono troppo verso
il fantasy e in generale sono poco dylandoghiane. Anche il nostro Dylan è stato
parzialmente reinterpretato da Wood che ne ha evidenziato a dismisura la figura
di bel tenebroso. Non a caso l'addio finale è quasi in stile Casablanca.
Mai visto poi un Dylan così depresso (altra caratteristica latente, qui
amplificata al massimo). in confronto quello del prologo di Ti ho visto
morire è un buontempone. Forse Wood non conosceva appieno il personaggio e
la serie oppure li ha voluti rimodellare secondo la sua sensibilità di autore, ipotesi
che troverebbe conferma anche nelle successive due sceneggiature scritte per l’indagatore
dell’incubo. I disegni di Freghieri non riescono a tenere lo stesso livello per
tutte le tavole, ma ci sono vignette davvero molto suggestive che il grande
formato del Gigante (quanto mi manca!) contribuisce ad esaltare. I suoi
personaggi femminili poi hanno una sensualità che pochissimi altri disegnatori
dylaniati riescono ad emulare. La copertina ad acquerello di Stano rispetta il titolo ma promette di
più di quello che poi la storia mantiene. Non brutta, ma troppo distante dallo
spirito della serie per piacermi davvero.
Curiosità: (1) Ai tempi della sua
prima uscita, L’esercito del male con le sue 236 tavole di lunghezza
segnò il record di storia dylaniata più lunga fino ad allora pubblicata. (2)
Wood scrisse altre due storie per Dylan Dog: Il grande Marinelli
(pubblicato su Almanacco della Paura 2002) e La donna venuta dal nulla
(uscito sul Maxi n. 6 del 2003).
BODYCOUNT: 8
TIMBRATURA: Sì (1, Vanessa)
CITAZIONE: “Neanche nei film
di Bruce Willis l’eroe è costretto a sbattersi come me. E quelli sono
personaggi di fantasia”
VOTO: 6
Soggetto: Wood (1)
Sceneggiatura: Wood (1)
Disegni: Freghieri (27)
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