domenica 30 ottobre 2022

Almanacco della Paura 1996 - Il mondo perduto

 

Walter Watson conduce un'esistenza soffocata dalla normalità. Dentro la sua mente, sta nascendo una rivolta silenziosa, si accumulano le energie della follia, pronte a esplodere in una carneficina. Loro sono dappertutto, lo assediano con i loro tentacoli viscidi, sono mostri e cadaveri che bisogna combattere con ogni mezzo… Walter deve fuggire verso un altro mondo e soltanto Dylan Dog può mostrargli la strada!

Questa storia è abbondantemente la meno riuscita fra quelle fino ad allora apparse sull'Almanacco. Tuttavia si vedrà, ahimè, di peggio in seguito. Non la ricordavo benissimo e rileggendola devo ammettere che il prologo, che ho trovato buono, mi aveva ben predisposto. Tuttavia il soggetto di Mignacco, trito e ritrito, mostra subito la corda, pur ispirandosi a fonti cinematografiche di riferimento notevoli come Un giorno di ordinaria follia, (Falling Down, 1993) di Joel Schumacher con un ottimo Michael Douglas protagonista e Natural Born Killers (1994) di Oliver Stone. La sceneggiatura non aiuta, essendo infarcita di critiche ai media e a esercito/truppe d'assalto di polizia già viste troppe volte sulle pagine dell'indagatore dell'incubo. In questo caso, poi, sono proposte in modo banale e stereotipato e il tentativo, fallito, dell’autore di sdrammatizzare la vicenda ammantandola di grottesco non fa che accentuare questo difetto. Di tutti i nomi astrusi assegnati da Mignacco ai vari comprimari da lui creati, "Tony Video" è senza dubbio il più improponibile. Ma al di là del nome e della discutibile morale votata alla spettacolarizzazione della violenza in TV, il personaggio non ha tutti i torti quando afferma “Incredibile, amici telespettatori! Il capitano Hardhead ha appena liberato la città dalla minaccia di un pericolosissimo serial killer, e Dylan Dog lo prende a cazzotti!”. Il comportamento dylaniato “pro diversi” è qui davvero troppo esasperato e ogni dubbio in merito è fugato quando Dylan viene definito come “l’unico uomo normale in un mondo di mostri”. Ci sono anche rimandi indiretti/rivisitazioni a storie passate per puntare sull'usato sicuro: Il tagliagole (tavole 10 e 11), Inferni (tavola 12), mentre l'ultima vignetta appare come una sorta di omaggio a quella conclusiva del mitico #1 (anche se qui è la partner dylaniata e non il nostro ad avere un incubo appena prima della fine). I disegni del dinamico duo M&G invece mi sono piaciuti, con mostri tentacolari che ricordano la Katinka dei nn. 64-65 e un bel nudo di Marion (tavola 7) tra le cose che si lasciano ricordare. I due veterani ci mettono una pezza, ma non bastano a salvare la storia dalla mediocrità. La copertina di Stano omaggia Duke Nukem, protagonista di una serie di videogames di gran successo negli anni 90. Peccato che il Walter Watson protagonista dell’albo non abbia un briciolo del carisma del “Duca”.

Ben fatti i dossier di questo Almanacco. Imprescindibile quello su Mario Bava, ad opera di Maurizio Colombo, che allora fece conoscere a tanti giovani lettori dylaniati uno dei registi più importanti (e sottovalutati) del nostrano panorama cinematografico. Avrebbe meritato più pagine, forse, quello su Clive Barker ma il compianto Andrea G. Pinketts (quanto adoravo i suoi romanzi!) fa un bel lavoro di sintesi. A concludere l’articolo dedicato a Dino Battaglia, firmato Graziano Frediani, arricchito da gustose illustrazioni.

Curiosità: Montanari & Grassani approdano per la prima volta a una testata “collaterale” di Dylan Dog, ma in compenso nell’annata 1996 non appariranno mai sulla serie regolare (e anche questa è una prima volta).

BODYCOUNT: 38

TIMBRATURA: Sì (1, Marion)

CITAZIONE: “Io sono un indagatore… Affronto i mostri e gli incubi perché voglio capirli…”

VOTO: 5

Soggetto: Mignacco (9)

Sceneggiatura: Mignacco (11)

Disegni: Montanari&Grassani (24)

sabato 29 ottobre 2022

Dylan Dog #114 - La prigione di carta

 

Scrivere non è un problema per Charlie Chivazky. Le parole gli sgorgano dalle dita e disegnano fantasmagorie surreali, intrecci fulminanti di personaggi e situazioni. Ma dove nascono le illuminazioni dello scrittore? Dylan Dog deve indagare il segreto potere della narrazione, perché le fantasie di Chivazky, i suoi demoni personali, si stanno liberando nell'aria, pronti a raccontare le loro storie di morte!

Dopo l’antipasto sull’Almanacco 1995 con la breve C’era una volta, Michele Medda esordisce da solista anche sulla serie regolare, con quest’ albo brillante, irriverente e soprattutto divertente. Ora dirò una cosa da vecchio lettore lamentoso, ma storie fresche e creative come questa, su Dylan Dog, purtroppo non se ne vedono da anni. E pensare che, come scrive sul suo blog, Medda ai tempi era solo alla ricerca di un diversivo per “distrarsi” temporaneamente dalle sceneggiature di Nathan Never. L’idea gli balzò in testa, come è facile immaginare, dalla rilettura di un racconto di Charles Bukowski che qui diventa anche personaggio (il simpatico Charlie Chivazki), fondendosi, per così dire, con il suo alter ego letterario “Henry Chinaski”. Non ci sono riferimenti diretti alle opere letterarie di Bukowski, ma solo un gigantesco omaggio alle atmosfere, agli ambienti e ai personaggi che vi sono raccontati. E sicuramente non è replicato lo stile asciutto ed essenziale della sua scrittura, anzi, Medda si lascia prendere fin troppo la mano dai dialoghi e il punto debole dell’albo è infatti il finale, troppo verboso e spiegazionista già a partire da pag. 81! Ben orchestrata è la struttura “a racconti”, o di “storie dentro la storia”, non certo una novità per la serie, ma poco usuale non vederci Dylan coinvolto. Ne vedremo un esempio ancor più fulgido ne La quinta stagione di Sclavi. Proprio uno di questi mini-racconti è il vero fiore all'occhiello dell’albo: Il bacio dello scorfano, ironico e geniale, in cui il fumettista sardo si diverte a sovvertire un po’ di cliché. Ma ci sono un sacco di altri momenti e comprimari assolutamente esilaranti: la coppia di masochisti, Chivazki in TV, il barista all'Irish Pub, il quartetto di barboni, ancora Chivazki nel racconto inventato da Dylan. D’altronde l'incipit chiarisce subito su che toni si andrà a parare e i disegni di Piccatto si rivelano perfettamente funzionali a illustrare questo tipo di storia. E’ evidente che lo stile dettagliato dei suoi esordi dylaniati è ormai lontano e alcune vignette paiono “tirate via” (es: ultima di pag. 46), ma il risultato finale è convincente. Lo stesso non si può dire della copertina di Stano, in cui a stonare, per postura ed esecuzione, è proprio Dylan. Bello invece il titolo, la cui paternità è da attribuire a Mauro Marcheselli, che rivela il suo significato solo nel flashback conclusivo. Non sempre è vero che la scrittura serve a liberarsi dei propri demoni interiori…

Curiosità: (1)A pag. 39 Medda, citando la scrittrice Susan Minot, sembra ironicamente rifilare una critica a Bernardo Bertolucci. (2)A pag. 65 Dylan nomina “il bar di Moe”, indiretta citazione del “Moe’s” (da noi conosciuto come “da Boe”) dei Simpson. (3)I barboni che chiedono aiuto a Dylan (tranne uno per ovvie ragioni) ricompariranno nel n. 203 della serie regolare, La famiglia Milford, sempre scritto da Medda. (4)Nella Post (inedito) viene annunciato che Brindisi sarebbe stato il disegnatore ufficiale del decennale.

BODYCOUNT: 9

TIMBRATURA:  Sì (1, una sconosciuta)

CITAZIONE: “Scrivere è solo una questione di sopravvivenza”.

VOTO:  8

Soggetto: Medda (5)

Sceneggiatura:  Medda (5)

Disegni: Piccatto (20)

Link al post sul blog di Medda:  FUORI CAMPO - il blog di Michele Medda: DYLAN DOG

sabato 22 ottobre 2022

Dylan Dog #113 - La metà oscura

 

Cala la notte e i mostri sono liberi di uscire. Ognuno ha il suo, ognuno di noi lo tiene nascosto come un parente scomodo, un fratello di tenebra. Ma tutti sanno che non esistono lucchetti e catene che possano veramente fermarlo. Quando nella mente cala la notte, possiamo soltanto farci da parte e attendere la rabbia della metà oscura!

Ricordo ancora l'attesa spasmodica per quest'albo che segnava il ritorno della mia coppia di autori preferita, un duo capace di sfornare, nella prima era dylaniata, capolavori di inarrivabile qualità.

La metà oscura non si avvicina a quegli acuti, ma è una buonissima storia, a partire dall'inattesa soluzione finale, che coinvolge uno dei personaggi ricorrenti della serie. E sì, ci si “sente a casa” leggendola perché ritroviamo molti elementi classici dylaniati: le filastrocche sulla Morte, i dialoghi brillanti, Dylan che prende in prestito le battute di Groucho, gli adorabili battibecchi tra i due, il clarino, le citazioni dei vecchi albi (l’immancabile n. 5), la passione per Woody Allen (Stardust memories sembra fare da filo conduttore all’indagine) e gli splendidi disegni di Casertano, che pur in evoluzione, ricordano graficamente alcune delle terrificanti apparizioni di Attraverso lo Specchio (es: pag. 23, prima vignetta). Torna pure, per l’ultima volta, il Dottor Bronski, divenuto amico di Dylan nel n. 61 dopo i tragici fatti del n. 4 e comparso di sfuggita o nominato in altre storie. Anche la tematica del male, della metà oscura, del "mostro" che risiede sopito in ognuno di noi è classicamente sclaviana. Un argomento palesemente dichiarato sin dal titolo kinghiano e dalla stuzzicante copertina stevensoniana. Nel romanzo di King (e nell’omonima trasposizione cinematografica firmata da George Romero nel 1993) il lato oscuro assume una consistenza fisica, diventando una persona autonoma dotata di propria coscienza di sé e nessuna morale. Nel racconto di Stevenson il Dottor Jekyll riesce a separare “scientificamente” il bene dal male, ma le due personalità convivono all’interno dello stesso corpo. Nella storia di Sclavi, invece, il colpevole libera da ogni vincolo l’aggressività latente delle proprie vittime agendo in maniera inversa rispetto, ad esempio, a quanto accade in Arancia Meccanica con la cura “Ludovico” che inibisce induttivamente la propensione alla violenza dell’individuo. Tutti abbiamo una parte malvagia sopita dentro di noi, ma non tutti riescono a tenerla sotto controllo quando si sveglia. Nell’albo, chi non ce la fa diventa a sua volta carnefice, assumendo le sembianze di un mostro che nessuno però riesce a vedere, a parte Dylan di sfuggita. E il finale non è consolatorio, né risolutivo (“la storia continuerà anche dopo che sarà finita”) lasciandoci un pizzico di inquietudine che aggiunge valore alla sceneggiatura.

Curiosità: Nel tamburino a pag. 2 (inedito) non è riportato l’autore del soggetto. Ignoro se nelle ristampe successive sia stato aggiunto, comunque sul sito ufficiale della Bonelli è riportato il nome di Sclavi.

BODYCOUNT: 11

TIMBRATURA: Sì (1, Jaye)

CITAZIONE: “E ho la presunzione che il mio parere sia quello giusto. La violenza è solo orribile.”

VOTO: 8

Soggetto: Sclavi (91)

Sceneggiatura: Sclavi (92)

Disegni: Casertano (13)