Un tempo, Al Jone è stato
famoso. In fondo, chi viene colpito da un fulmine, nella maggior parte dei
casi, si limita a restare carbonizzato, ma lui no: si è trasformato in una
sorta di accumulatore vivente, una curiosità scientifica, un eroe da luna-park.
Ora Al Jone ha cominciato a captare, tra le tante forme di energia, anche le
voci dei morti… e altre, dalle profondità siderali, che lo stanno chiamando.
Deve recarsi nel luogo prescelto per l'appuntamento, ma non è l'unico ad aver
ricevuto la "chiamata"… Un gruppo di sconfitti dalla vita, un'umanità
marginale, si mette in cammino verso la sua stessa meta, e al loro fianco
marcia Dylan Dog, per proteggerli da chi non vuole che l'Esodo si compia…
Quando su Dylan Dog si parla di alieni
e incontri ravvicinati non si può fare a meno di tirare in ballo la “trilogia
ufologica” che lo stesso Sclavi aveva da poco citato nel n. 176, Il Progetto.
Non si esime neppure Paola Barbato che richiama espressamente i nn. 131 e 136,
nominando il generale Scott e riportando in scena l’odioso personaggio del colonnello
Blackett. Questa si rivela però presto una delle storie meno riuscite dell’autrice,
solitamente bravissima a intessere trame complesse. L’esodo ha invece un
plot fin troppo lineare, a tratti semplicistico per come vengono delineati i
buoni e i cattivi della situazione, in particolare i militari che non brillano né
per intelligenza né per discrezione. Dylan, oltre che clamorosamente ignorante
in geografia, appare come un personaggio quasi secondario rispetto alla gesta di
Al Jones il "cavaliere elettrico", che prende il soprannome (e nient’altro,
anche se pure lì i protagonisti cercano di sfuggire a posti di blocco) dal film
del 1979 di Sidney Pollack. La presenza dell’indagatore dell’incubo in
quest'avventura on the road è giustificata solo dal motto (non viene pronunciato
ma il succo è quello) "I want to believe" di sclaviana memoria,
mutuato ovviamente da X-Files. Non è scritta male, ma non prende. Colpa
mia forse, eppure un soggetto così, un po’ in stile Stephen King, aveva delle
potenzialità che restano inespresse. Non aiutano a entrate in sintonia con la
storia neppure i disegni di Montanari & Grassani, sicuramente funzionali,
ma poco adatti a conferire quell’epicità che la migrazione dei “chiamati”
avrebbe meritato. Ci riesce almeno la bella copertina di Stano, dedicata alla
scena dell’apertura delle acque che rende giustizia anche al titolo “biblico”.
Curiosità: (1) Se non sbaglio non
si era mai vista prima la cantina di casa Dog. (2) Il galeone va in pezzi per l’ennesima
volta. Capitava spesso, anche di recente (vedasi Il seme della follia). (3)
Tra gli albi del passato citati in questa storia c’è anche il n. 106 Larivolta delle macchine.
BODYCOUNT: 1
TIMBRATURA: No
CITAZIONE: “I cavalieri non hanno paura dei fulmini”.
VOTO: 5
Soggetto: Barbato (9)
Sceneggiatura: Barbato (8)
Disegni: Montanari & Grassani (38)
A me è piaciuta, ma penso che il formato di 94 pagine le stia stretto: avrebbe funzionato meglio in uno speciale di 160 pagine.
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