mercoledì 18 ottobre 2023

Dylan Dog #138 - Cattivi pensieri

 

Un incidente, una catena di equivoci e Dylan passa la notte al fresco! È soltanto l'inizio di una lunga avventura. Tra le pareti del carcere, conoscerà il bonario, saggio Forrest e il suo incredibile potere, scoprirà che le prigioni di ferro e cemento non sono nulla di fronte alle prigioni della mente e che l'innocenza di un uomo può essere condannata a morte dai cattivi pensieri degli altri!

Prima o poi un passo falso doveva capitare anche a un maestro come Sclavi. Vero, il n. 100 mi deluse, ma per tutt’altri motivi. Lì le aspettative erano altissime per la chiusura della storyline Dylan-Xabaras-Morgana, invece noi lettori ci trovammo davanti qualcosa di spiazzante e completamente diverso da quello che ci si attendeva. In questo n. 138 a lasciare sconcertati sono invece la banalità e la superficialità con cui viene affrontato il tema del razzismo, all’insegna del buonismo più totale. Decisamente meglio aveva fatto lo stesso Sclavi trattando di emarginati ne Il ritorno di Killex, qui anche direttamente citato. E una sola sequenza di Lassù qualcuno ci chiama, quella in cui la mamma di Eoghainn si scaglia contro Juliet apostrofandola “maledetta negra” si mangia in un sol boccone tutto quello che qua ci viene raccontato con pedante e ostentata retorica. L’apice viene raggiunto con la rivelazione del ladro (bianco) che si truccava da nero! Poi vabbè, Sclavi è Sclavi e la lettura resta sempre piacevole, compresi i dialoghi (almeno quelli che non riguardano argomenti sociali). La sceneggiatura ovviamente deve tanto, ma non tutto, al modello letterario di ispirazione, Il miglio Verde di Stephen King, che il Tiz dichiarò più volte di amare tantissimo. Come spesso accade, il papà di Dylan innesta altro sulla fonte primaria, ovvero una parte legal thriller che guarda da vicino a John Grisham e ai film tratti dai suoi romanzi, come peraltro ci viene rivelato a pag. 65. Il riferimento è a Il momento di uccidere, all’epoca già trasposto anche su grande schermo dal regista Joel Schumacher. Per sfortuna del buon Forrest, la sua sorte sarà ben diversa da quella del personaggio di Carl Lee Hailey nel libro di Grisham. Ma la parte più riuscita dell’albo è però, a mio giudizio, il promettente incipit, tutto di derivazione dylandoghiana, con una dichiarata citazione alla sfortunata serata del nostro in Dopo Mezzanotte. Peccato Cossu non sia Casertano e l’effetto nostalgia si va a perdere un po’. Anche il racconto dei destini dei personaggi secondari, espediente spesso usato da Sclavi (ma anche da Chiaverotti) nei primi cento numeri, ci fa sentire “a casa”. Simpatica la comparsata del vicino di casa di Dylan, protagonista della breve storia di Ruju uscita sul quarto Gigante e ben indovinato il personaggio della “mini avvocato” Lee Riker che avremo modo di ritrovare nella serie. La vignetta finale suggerisce “…and justice (not) for all”, per semicitare i Metallica, e tutto sommato non mi dispiace. Apprezzabile il lavoro di Cossu, in particolare nel disegnare l’attacco dei ragni (una scena simile, moltiplicata per mille, si era appena vista nel numero precedente La città perduta) e quella dei serpenti che escono da occhi e bocca del carcerato, forse un omaggio ad Halloween III. Il suo stile però continua a risultarmi indigesto. Della copertina di Stano non mi convince l’espressione tremenda di Forrest.

Curiosità: (1) A pag. 33 Dylan afferma di non bere da 10 anni. Già all’epoca era ormai un’impresa insensata tracciare delle linee temporali nella serie, figuriamoci adesso! (2) Nella vignetta grande di pag. 88 possiamo ammirare un po’ dei “cattivi pensieri” di Dylan: Morgana, Marina, Lillie, Xabaras, i Vampiri, il galeone, un impiegato degli “Inferni”, Johnny Freak, Mana Cerace, il bambino in versione mostruosa de La casa infestata,  il mostro de L’antro della belva, il diavolone di Golconda, il “Frankenstein” del n. 60. Ma il teschiaccio a fianco dell’Uomo del Buio chi sarebbe? L’uomo che visse due volte? (3) Nella Post (inedito) viene dato ampio spazio al romanzo di Sclavi allora fresco di pubblicazione, Non è successo niente.

BODYCOUNT: 3

TIMBRATURA: Sì (1, Lee)

CITAZIONE: “Il rimorso non porta a niente, non insegna niente… il pentimento sì

VOTO: 5

Soggetto: Sclavi (107)

Sceneggiatura: Sclavi (112)

Disegni: Cossu (8)

5 commenti:

  1. Concordo pienamente con quanto sopra. Per me una delle peggiori storie di Dyd in assoluto. Storia eccessivamente ricalcata sul Miglio Verde di King e non solo, con pochi reali slanci e inventiva che riescano a nobilitare il tutto. Dialoghi peggio ancora. Ne ricordo uno che al di là del buonismo di cui parlavi (davvero eccessivo) fa quasi concorrenza a quello di Recchioni sulla prima pagina del 401. Davvero prolisso ed eccessivo per un fumetto che anche e soprattutto di disegni vive. Sarò impopolare ma una di quelle storie (e altre ne seguiranno) che non mi fa rimpiangere l’assenza del buon Sclavi sulla serie.

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    1. Ah io Sclavi lo rimpiangerò sempre e comunque. Poi sul fatto che il "meglio del suo meglio" l'avesse già dato nei primi dieci anni di Dylan, siamo tutti d'accordo o quasi credo.

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  2. Il problema maggiore di questa storia è che Sclavi vuole combattere degli stereotipi, ma per farlo si serve a sua volta di contro-stereotipi.

    Poi trovo inaccettabile quello che Lee Riker dice nell’ultima vignetta di pagina 62 (alla luce, poi, di quello che aveva detto nella prima vignetta della stessa pagina): non capisco come Sclavi abbia potuto scriverlo e ancor meno capisco come la redazione glielo abbia fatto passare.

    Puoi trattare un tema sociale su un fumetto? Se lo fai nel giusto modo, sì. Puoi far prendere una posizione politica alla protagonista femminile della storia (tra l’altro, una posizione alquanto estrema) e di riflesso farla prendere anche al protagonista della testata? No, non puoi. Puoi farlo su un fumetto di nicchia destinato in partenza a un certo tipo di pubblico (come “Sprayliz”), ma non puoi farlo su un fumetto di massa che viene letto ogni mese da centinaia di migliaia di persone.

    Da segnalare, poi, come Sclavi firmi la storia nell’ultima tavola: vado a memoria, ma non credo abbia firmato altri suoi lavori. Quindi penso che lui la ritenga la sua storia migliore, o perlomeno la più importante, quando in realtà, splendido prologo a parte, è la peggiore.

    P. s. Sono convinto che i romanzi di Sclavi siano bellissimi (anche se ho letto solo “Dellamorte Dellamore”) e che non abbiano venduto solo perché avevano un prezzo esagerato. Quello che viene pubblicizzato su quest’albo costava 32.000 lire, a fronte di un prezzo del fumetto di 3.500 lire: quindi il libro costava 9.14 volte il fumetto. Come se oggi uscisse un romanzo che costa 44.78 euri: chi lo comprerebbe?

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    1. Io li ho tutti i romanzi di Sclavi e li adoro. Ma come per Dylan Dog, preferisco i libri scritti durante il suo periodo "nichilista"-pessimista.
      Sull'orientamento politico, mi sembra che Dylan sia sempre stato schierato, anche se mai così apertamente come in quest'albo.

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    2. Secondo me, tutte le storie politiche uscite prima di questa erano state trasversali: questioni come la critica alla classe dirigente, la lotta alla censura, la denuncia al nazismo, il no alla violenza sugli animali, erano temi universali che potevano trovare il consenso di tutti, a prescindere dal proprio orientamento politico. Anche il tema di questa storia, trattato nel giusto modo, avrebbe potuto esserlo, ma è stato trattato in malomodo e tirare in ballo la posizione politica della protagonista femminile è stato un errore: sembrava che Sclavi volesse dire che quelli bravi stanno di qua e quelli cattivi stanno di là.

      Non c’era nulla di male quando Sclavi esprimeva la propria opinione politica nelle interviste, ma scrivendo “Dylan Dog” avrebbe dovuto ricordarsi che vendeva 500.000 copie, e di quei lettori 250.000 stavano da una parte e 250.000 dall’altra: dicendo che i buoni stanno di qua e i cattivi stanno di là, ha offeso il 50% del suo pubblico.

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