Leonora Steele è cieca, ma riesce a vedere con l'occhio della memoria.
La morte l'ha sfiorata tanti anni fa, quando la sua famiglia fu
trucidata da un folle. Ora il mostro è fuggito! Damien, il gigante
assassino, ha violato le mura del manicomio per tornare da lei e l'unico
che può impedirgli di completare l'opera è Dylan Dog …
Pesante modello ispiratore dell’albo è Terrore
Cieco (1971), film di Richard Fleischer, in cui la protagonista è già
cieca, a causa di una caduta di cavallo avvenuta qualche tempo prima, quando si
aggira per la villa di famiglia senza accorgersi subito dei cadaveri. Sclavi
sostituisce il personaggio apparentemente fragile di Sarah, interpretato da Mia
Farrow, con la ben più risoluta e simpatica come la sabbia nelle mutande
Leonora (ancora lo zampino di Poe!), introducendo un elemento di difformità,
rispetto al modello di riferimento, con Damien, lo sfortunato garzone dello
stalliere. Tiz sceglie di non mostrarne quasi mai il viso e gli cuce addosso
diverse caratteristiche dei boogeyman degli anni 70/80: ha un fisico imponente,
apparentemente indistruttibile e va in giro con un machete come Jason Voohrees,
fugge da un manicomio, dopo anni di tranquillo anonimato, alla vigilia di una
strage familiare da lui compiuta come Michael Myers, ha il volto bruciato come
Freddy Kruger e porta il nome del figlio prediletto del Diavolo nella saga di Omen-Il Presagio. Figura tragica Damien,
con la quale Sclavi introduce altri temi classici dylandoghiani: il diverso (“monstrum” in latino significa prodigio,
ci ricorda il dottor Pierce nell’albo) e la malvagità che si cela nel cuore non
del mostro, ma dell'uomo. Proprio buonissimo forse Damien non è, visto che
comunque fa fuori due tizi dopo la sua fuga alla ricerca di Leonora. Anche
questa, come il #6, è più una storia d’amore, che di morte, malgrado abbia la
forma del classico slasher. Perfetto in questo senso il finale, preceduto dalla
struggente ultima cavalcata sotto la pioggia di un Damien dallo sguardo tristissimo,
in cui la donna di ghiaccio si scioglie al fuoco (non solo metaforico)
dell’amore. Peccato la storia abbia un difetto macroscopico che le preclude
l'eccellenza: gli atti processuali che Dylan legge a metà albo. Il problema non
sta nella non credibilità che polizia e inquirenti non abbiano rilevato un
indizio evidente (in parte giustificato dal clima di "daje al mostro"
intorno alla vicenda), ma nel palesare la soluzione del caso troppo presto:
Dylan non ha letto il prologo, noi lettori sì! E' impossibile non capire la
verità, al massimo possono sfuggire le motivazioni. Pleonastico il personaggio
di Lilith, al dispetto del bel nome, così come l’ultima pagina che in qualche
modo vorrebbe chiudere il cerchio. Si arricchisce il background dylaniato con
qualche informazione aggiuntiva: scopriamo che Dog non è un nome d’arte (Dylan
lamenta di essere stato, anzi, oggetto di scherno da parte dei compagni di
scuola), mentre il nome deriva dalla passione del padre (?) per il poeta
inglese Dylan Thomas. Non si sente eroe e dimostra di aver paura, mostrando
finalmente il suo lato più umano (quello che davvero mi ha fatto amare
l’indagatore dell’incubo) abbandonando del tutto la spacconaggine ostentata negli
albi #1 e #5. Prima visita dylaniata nel manicomio (per ricchi) di Harlech, ne
seguiranno diverse altre, soprattutto nei primi cento numeri. Dylan fa la
conoscenza di Lord Chester, uno dei pazienti della clinica, personaggio
ricorrente che, fin dal primo incontro, saluta il nostro cercando
simpaticamente di strangolarlo (in amicizia!).
Ottimo esordio, ai disegni, del prolifico Piccatto, ricco di particolari e
con un tratto più morbido, molto diverso da quello attuale. Personalmente lo
preferivo così, prima della svolta stilistica. Molto riuscita la rappresentazione
della scalata di Dylan nel pozzo che rende bene l’idea della fatica, della
claustrofobia e dell’ansia del nostro. Suggestivi i sotterranei del castello,
location comunque superflua nell’economia della storia e bella la galleria di
freaks in quel di Harlech. Della copertina di Villa non mi piace il viso di
Damien.
Il meno riuscito, in my honest opinion, tra i primi dieci numeri, anche se rimane una
buonissima storia.
Curiosità: Sclavi omaggia,
intitolandogli uno dei capitoli, anche un altro thriller con una protagonista
non vedente, interpretata dalla sempre splendida Audrey Hepburn (che ebbe una
nomination all’Oscar per la sua interpretazione): Gli Occhi della notte (1967)di Terence Young.
BODYCOUNT: 10
TIMBRATURA: No
CITAZIONE: “Vuole uccidermi. Vuole completare la strage. E tenterà di farlo.
Perché Damien la notte scorsa è fuggito dal manicomio. E’ libero.”
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VOTO: 8
Soggetto: Sclavi (8)
Sceneggiatura: Sclavi (8)
Disegni: Piccatto (1)
Ciao! L’ho appena riletto e non mi torna una cosa: Leonora ha una figlia di sedici anni, quindi nel prologo di sedici anni prima avremmo dovuto vedere Lenora o assieme a una neonata, oppure con un pancione in prossimità del parto. In entrambi i casi, non credo che la cosa sarebbe stata taciuta negli atti processuali e trovo anche poco credibile che l’investigatore Dylan non abbia fatto due calcoli.
RispondiEliminaSecondo me, sarebbe stato più logico se avessero detto che la figlia aveva quindici anni (e che quindi, al momento della strage, era appena stata concepita).
Un’altra cosa…
EliminaSpoiler
… sappiamo che Leonora è diventata cieca il mattino dopo la strage: ma perché, allora, nella scena iniziale si comporta come se fosse sempre stata cieca? Avrebbe dovuto urlare “Oddio, non ci vedo più”, ruzzolare per terra, non sapere da che parte andare: invece si muove come se fosse abituata a non vederci.
La cosa non viene taciuta, anzi Leonora stessa rivela che quando ha sposato Pierce era già incinta. Non mi ricordo se si dica che Lilith ha 16 anni compiuti. Magari ha 15 anni e 8 mesi e si fa riferimento a "figlia di 16 anni" arrotondando. Dovrei rileggerlo.
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaPer quanto riguarda la scena iniziale, serve evidentemente per depistare il lettore, infatti fino a quando Dylan non legge gli atti processuali il dubbio noi pensiamo che Leonora sia cieca dalla nascita. Poco corretto ma funzionale.
RispondiEliminaIntendevo taciuta negli atti del processo. Inoltre, anche supponendo che la figlia di Leonora abbia 15 anni e 8 mesi, al momento della strage Leonora avrebbe dovuto essere incinta di cinque mesi, però nella scena iniziale non si vede alcun accenno di pancia.
RispondiEliminaNon so, è una storia che ogni volta mi lascia un tantino spiazzato, come se qualcosa non quadrasse. Fermo restando che nel suo complesso si tratta di un albo di gradevolissima lettura 🙂 .
Oggi credo di aver trovato un errorino anche in "Memorie dall'invisibile", ma è una tal piccolezza che non so nemmeno se valga la pena segnalarlo...
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