Il passo incerto, la mano gelida e un'insaziabile fame di carne viva. I
morti escono dalla tomba per venire a farci visita; ne sa qualcosa Sybil
Browning, sfuggita per un pelo alle fauci del marito defunto. L'unico
che può aiutarla è un bizzarro detective che suona il clarinetto e
coltiva una passione per mostri e misteri; il suo nome è Dog, Dylan Dog.
L'Indagatore dell'Incubo e l'inseparabile Groucho seguono il passo
degli zombi fino al villaggio di Undead, dove li attende il
mefistofelico Xabaras…
Il primo,
mitico, numero di Dylan Dog si apre con un impeccabile prologo dal taglio
cinematografico: un inseguimento serrato
destinato a concludersi a forbiciate, in cui il presunto morto vivente compare
quasi sempre in ombra, fatta eccezione per alcune tavole di notevole impatto
(quella delle mani che sbucano dal buio su tutte). Il debutto del protagonista
avverrà qualche pagina dopo. In questo primo albo Sclavi ci presenta già molte
delle caratteristiche che l’indagatore dell’incubo si porterà appresso per
buona parte della sua carriera. Scopriamo subito che è vegetariano, ironico,
autoironico (ma è serio nei momenti critici), brillante, cascamorto tanto da
non separare mai aspetto professionale e privato (andare a letto con le clienti
è prassi o quasi), squattrinato e scettico (fino a un certo punto, è uno che
“non ci crede ma ci spera”) malgrado la sua particolare professione. Ha una
curiosa esclamazione tipica: “Giuda Ballerino”; è un cinefilo ultra-appassionato
di horror, gode già di una certa fama non proprio lusinghiera (i giornali
inglesi lo definiscono un ciarlatano), guida un maggiolino bianco della
Wolkswagen, ha l’hobby del modellismo (lo vediamo intento a costruire un
galeone che nel futuro si rivelerà importante nell’economia della serie), la
sua parcella è di 50 sterline al giorno più le spese (onorario che sarà poi
ritoccato), suona il clarinetto (il suo pezzo forte è “Il Trillo del Diavolo”),
per concentrarsi così come Sherlock Holmes usava fare con il violino. Dal
detective creato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle il nostro Dylan eredita
anche il metodo investigativo di scartare tutte le ipotesi possibili. Anche
l’ambiente in cui si muove è subito ben definito: un ufficio-abitazione, sito
in (una) Craven Road al n.7 della sempre suggestiva Londra, con un campanello
“urlante” sulla porta (idea del suo assistente) e un corridoio colmo di statue
di mostri, maschere e altri inquietanti oggetti di ogni tipo; accoglie i
clienti in uno studio pieno di libri, seduto con una gamba accavallata a un
bracciolo della poltrona. Nell’arredamento è presente uno scrittoio su cui fa
bella mostra di sé una penna d’oca che il protagonista spesso userà (o forse
sarebbe meglio dire usava), calamaio alla mano, per aggiornare il suo diario. Ci
sono ancora particolari da smussare e sfumature da sgrezzare nel DNA del
personaggio che fanno troppo “James Bond”: la presentazione, la bomba nella
custodia, l’indomita sicurezza di sé. Il “Ciao
Bella” e “pupa” rivolti alla
cliente di turno e l’atteggiamento spaccone, duro, quasi strafottente sembrano invece
un residuo di quell’imprinting noir/hard-boiled a cui aveva pensato
inizialmente Sclavi e che venne poi scartato nella definizione della genesi del
personaggio. Altri elementi, presenti anche negli albi immediatamente
successivi, come la decantata discendenza da una famiglia di cacciatori di
incubi, verranno successivamente abbandonati; altri ancora, come l’aumento
dell’appetito quando lavora a un nuovo caso o il clarino portato ovunque anche
in trasferta, non avranno alcun seguito. Insomma, il personaggio esteriormente
c’è già tutto, ma la sua caratterizzazione é ancora in divenire. Tutto ciò, per
certi versi, fa dell’Alba dei morti viventi quasi un episodio pilota, un
ipotetico numero zero, piuttosto che #1. Passando ai comprimari della serie,
Bloch si limita qui a una breve apparizione di una sola pagina che non ci
anticipa niente sui rapporti con Dylan. La comparsata, è però sufficiente a rivelarci un pizzico del
suo (apparente) cinismo e della sua filosofia di vita, nonché la sua avversione
per i cadaveri; è presente anche un piccolo cenno al soprintendente che in
futuro tanto tormenterà i sogni di pensione del buon ispettore. Molto più
coinvolto nell’azione è invece qui Groucho, presentato come assistente folle
spara-battute, con un passato da attore comico, anche cinematografico. Si
intuisce subito anche la grande amicizia che lo lega al suo datore di lavoro; i
due dimostrano un feeling naturale e straordinario che va oltre il lancio della
pistola (ancora da affinare)e che rende Groucho qualcosa di più di una “spalla”
vera e propria. Tra l’altro, durante la prima fuga dal laboratorio, lo vediamo
serio e risoluto come mai più avremo modo di ammirarlo in altre occasioni, nelle
quali, almeno a parole, prevarrà la sua vis
comica. Oltre ai comprimari, questo #1 presenta anche quello che sarà
l’antagonista principale di Dylan Dog (almeno per i primi 100 numeri): Xabaras.
Che sia destinato a divenire nemico ricorrente lo intuiamo dalla sinistra minaccia
di vendetta, durante l’incendio purificatore che divora la sua villa. Sguardo
magnetico, modi raffinati e distinti, un nome che è l’anagramma di Abraxas, uno
dei nomi del diavolo; rimane in ombra, nella sua primissima apparizione,
pronunciando una frase che è, per certi versi, una citazione: “Non aprite quella porta!”. Senza
ancora scomodare relazioni parentali e complessi edipici, Dylan si trova a
fronteggiare non il classico mad doctor, ma un essere di probabile provenienza
soprannaturale o “dall’altrove”; è in giro per il mondo da secoli, si professa
immortale e creatore del voodoo. Il suo sogno, per realizzare il quale è
disposto a qualsiasi mezzo, è di vincere la morte e di donare al mondo
l’immortalità. Gli unici in grado di creargli problemi in passato sono stati, a
suo dire, il nonno e il padre di Dylan. Un peccato, a posteriori, che la sfida
tra Xabaras e il nostro non si sia consumata e trascinata per molto più tempo,
“bruciata” inesorabilmente dal n. 100. A proposito di citazioni, ovvero uno dei
marchi di fabbrica della serie, abbondano ovviamente anche in questo primissimo
numero: citato a più riprese è Romero, che viene omaggiato di un’intera pagina
dedicata a immagini del suo “Zombi” (“Dawn
of dead”, che tradotto in
italiano altro non è che il titolo dell’albo); da ricordare anche
“Ghostbusters”, il film di Ivan Reitman
uscito in Italia poco più di un anno prima, di cui ci viene riproposta parte
della colonna sonora e che viene omaggiato dalla battuta sullo spettro sumero
nel frigorifero (Dylan dice di non averne mai visto uno, ma la sua affermazione
verrà sbugiardata molti anni più tardi). Per quanto riguarda la sceneggiatura,
molto densa e ricca d’azione, Sclavi imbastisce una trama classica, condita da
dialoghi freschi, gustosamente ironici e ancora attuali, profondendo una cura
maniacale nella disposizione dei personaggi all'interno di ogni singola
vignetta e imponendo un ritmo incalzante e serrato alla narrazione. Numerosi
sono i momenti squisitamente horror che impreziosiscono la storia: forbici
piantate negli occhi, resurrezioni old
style dalle tombe del cimitero, impreviste rianimazioni di nude salme all’obitorio,
il contro-finale che si chiude con una poco consolatoria dissolvenza in
nero. Non mancano le sequenze brillanti e
divertenti: la rocambolesca risalita in treno, l’adrenalinica fuga a Undead con
la parete sfondata a picconate, la simpatica gita in bicicletta (la mia
preferita). Alcune vignette, come l’esterno della casa di Sybil o quella in cui
Dylan si presenta sono classici assoluti della serie, così come alcune battute
(“Buio in sala.. l’orrore ricomincia!”
“Tra le fiamme dell’inferno.. o il
fulgore del paradiso”)Tallone d’Achille resta la famigerata custodia
esplosiva del clarinetto, ma considerata la caratterizzazione ancora in
divenire di Dylan ci si chiude volentieri un occhio da oltre trent’anni a
questa parte. Comparto grafico ad opera di Angelo Stano assolutamente
all’altezza, all’epoca quasi sbalorditivo rispetto agli standard bonelliani,
con quel suo stile, ispirato a Egon Schiele, che rompe la tradizione,
imponendosi come un’importante biglietto da visita per una serie che si
proponeva come qualcosa di veramente nuovo per la casa editrice di Via
Buonarroti. Impressionano, in particolare, i suoi ributtanti zombi.
Impossibile, infine, dimenticare la mitica copertina di Claudio Villa, citata,
copiata, replicata (anche in casa Bonelli), parodiata e imitata in mille salse.Ci sono storie
più belle di questa, ma come si suol dire, il primo amore non si scorda mai.
Riaprirlo è come ritrovare ogni volta un vecchio amico. Ma non è solo l’affetto
che conta, perché a distanza di tanti anni, rimane sempre un gran bell’ albo e
una pietra miliare nella storia del fumetto italiano.
Curiosità:
così come la copertina, anche la storia è stata oggetto di repliche, bonelliane
e altrui, autorizzate e non. Nella stessa collana dylaniata sono già ben 3 i
remake ufficiali: “La Nuova Alba dei morti viventi” (apparsa su Color Fest), “Relazioni
Pericolose” (crossover Dylan Dog/Batman o meglio Xabaras/Joker) e “L’alba nera” tutti a firma di Recchioni. Tra le parodie mi piace ricordare
“L’alba dei topi invadenti” apparsa nel 2015 sulle pagine di Topolino.
TIMBRATURA: Sì (1: Sybil)
CITAZIONE: “Scartate tutte le ipotesi possibili, ciò che
resta è molto più divertente, e guarda caso è il mio mestiere: l’incubo”.
VOTO: 9
Soggetto: Sclavi (1)
Sceneggiatura: Sclavi (1)
Disegni: Stano (1)
Grande Altair! Non mancherò di seguirti!
RispondiEliminaGrazie Nima! :)
EliminaImplementato anche coi voti decimali! Me felice! Avanti così, progetto molto bello e interessante.
RispondiEliminaGrazie Leo!!!
Eliminaciao Altair, con un po di ritardo ma arrivo pure io e continuerò a seguirti
RispondiEliminati saluto come mi hai abbreviato tu: inui :)
Grazie! :)
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