Questa volta l'indagatore
dell'incubo se la deve vedere con una singolare specie di fantasma: Ungenannt,
ovvero il "Senza Nome". Si tratta di uno spirito da troppi anni
dimenticato, alla perenne ricerca della sua identità, ormai folle di rabbia per
non essere ricordato da nessuno. Con il tempo ha imparato come impadronirsi di
organismi viventi, portando devastazione e pazzia nei corpi che invade. Nessuno
è mai sopravvissuto alla possessione di un Ungenannt. Anche un "esperto
del mestiere" come Dylan Dog rischia di sperimentare a sue spese che la
morte non è sempre la fine di tutto. anzi, per qualcuno, è solo l'inizio di
un'infinita odissea nella solitudine!
Il Senza nome è una storia
indubbiamente eccellente, tra le migliori della seconda decade dylaniata, che
però non gode presso i fan della stessa popolarità di altre più celebrate, vuoi
per la sua collocazione (il Gigante era la testata che vendeva meno all’epoca),
vuoi per la sua natura di “celebrativo” non collegato ad un anniversario dell’indagatore
dell’incubo. In un certo senso potrebbe
essere definita come la vera "storia di Dylan Dog", ponendosi come
una sorta di sequel alternativo al n. 100 per il percorso del protagonista e la
presa di coscienza finale e, se fosse stato possibile sforbiciarne una
cinquantina di pagine, non avrebbe sfigurato come albo doppio del ventennale al
posto del deludente duo #241-#242. Barbato richiama qui la formula dei primi
speciali con le mini-storie, tutte con Dylan assoluto protagonista, all’interno
di una cornice un po’ fumosa che serve a condurre il nostro nel viaggio
autoreferenziale che lo porterà a ritrovare sé stesso. La sceneggiatura è
tecnicamente perfetta, meno compiacente nei confronti del lettore e più
coerente rispetto al temporalmente prossimo La scelta. Certo, anche qui non manca una lunghissima
carrellata di volti noti (Morgana, Bree, Lillie, Lord Wells, la Trelkovski,
Botolo, Phoenix, la Kowalsky di Ghost Hotel, Johnny Freak e l’immancabile
Xabaras, oltre a diversi altri) e ci sono rimandi ad albi o luoghi (l’indimenticabile
Grand Guignol) del passato dylaniato. La natura di special/celebrativo
particolare è accentuata dalla scelta del disegnatore, la guest star Giancarlo
Alessandrini, colonna portante di Martin Mystère. Il suo tratto inconfondibile,
ben noto a chi conosce anche solo marginalmente il BVZM avendone realizzato
tutte le copertine, si sposa bene con le atmosfere ricreate da Paola Barbato,
regalandoci tavole stratosferiche e di grande intensità anche emotiva. La copertina
di Stano, dedicata all’episodio delle sarte, inganna le aspettative ma è ben
realizzata.
Curiosità: (1)La storia doveva
essere pubblicata sull’albo gigante n. 12, ma Alessandrini non fece in tempo a
completarla, facendone slittare l’uscita di un anno. (2)“Spirito Allegro”
(Blithe Spirit) la commedia di Noel Coward che Dylan si trova ad interpretare
sul palco del Grand Guignol, è stata portata in scena la prima volta nel 1941 e
godette di ben 1997 repliche. Nel 2009 ne venne proposta a Broadway una nuova
versione che vedeva tra i protagonisti… Rupert Everett! (3)Alessandrini in
seguito disegnerà un albo gigante anche per un altro celebre personaggio
bonelliano: Tex! Sua la firma del 20° Texone, intitolato Canyon Dorado.
BODYCOUNT: 2
TIMBRATURA: No
CITAZIONE: “Bene, in tanti
anni di disonorata carriera cosa ho ottenuto? Niente! Gli incubi sono rimasti
incubi, i dubbi sono rimasti dubbi…”
VOTO: 9
Soggetto: Barbato (21)
Sceneggiatura: Barbato (20)
Disegni: Alessandrini (1)

Stupenda: sarà davvero difficile ordinare il podio con i tre capolavori annuali di Paola.
RispondiEliminaAlessandrini non mi fa impazzire come copertinista, ma come disegnatore di storie è a dir poco strabiliante!
Avendo dato a tutte e tre il medesimo voto, ti lascio nell'incertezza fino agli award.
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