"Io sono la
Prigione!"… A dire il vero, il carcere di Hellborn, che troneggia su un
aspro isolotto battuto dai venti e dai marosi, è molto più di una prigione e
rende pieno onore al nome che porta. Chi vi è rinchiuso ha seguito la via
dell'orrore da libero e continua a farlo da recluso, ridotto alla dannazione in
terra da due aguzzini come il direttore Luger e il comandante Brood. Dylan
condivide la sorte di quei reietti, alla ricerca di una ragione per le troppe morti
"accidentali" che, da qualche tempo, scandiscono i giorni sull'isola
nata dall'Inferno… e non potrà evitare di misurarsi con il cuore stesso del
Male!
Dopo aver firmato il suo esordio
sulla serie regolare e sullo Speciale, al suo primo vero anno di attività dylaniata
Faraci debutta anche sul Gigante, per un totale di pagine sceneggiate (quasi
500) davvero importante. Una prima, questa, che lascia il segno perché, tra i Giganti
a storia unica, annovero questo tra i migliori in assoluto, secondo solo al n.
13, Il senza nome. Faraci ci regala una piacevolissima storia di
violenza orrore e morte, imbastendo una sceneggiatura solida, aritmica, a
tratti serrata, a tratti più lenta e onirica, con elementi che vengono inseriti
come apparentemente non importanti all’inizio per scoprirsi rilevanti dopo. Un
tipo di narrazione che ha una forte connotazione “sclaviana”, compresa un’eccessiva
retorica tipica dello Sclavi dell’ultimo periodo. Le tirate moralizzanti di
Dylan sulla dignità dei detenuti e sulle finalità delle pene detentive, assolutamente
condivisibili peraltro, sono il principale, se non l’unico vero difetto di un
albo che altrimenti avrebbe potuto ambire a vette di eccellenza assoluta. I
momenti di pura tensione sono stemperati affidando gli intermezzi leggeri a
Bloch in vacanza alle prese con un simil Jenkins, più che a Groucho. Resta però
spassosissima la scena in cui il nostro assistente preferito, sentendosi solo
in quel di Craven Road, spara battute a raffica ai cartonati di Dylan e Bloch.
Indovinati, anche se un filo stereotipati, i comprimari e le sequenze oniriche
che vedono protagonisti i carcerati in procinto di essere sacrificati al “Moloch”,
dopo una fine piuttosto cruenta. Molto efficaci anche le allucinazioni che
vedono Dylan nei panni di alcuni dei più crudeli assassini ospitati a Hellborn
e inquietante la figura della Morte che si aggira di frequente per la prigione.
Convincente la soluzione della prigione come entità “viva”. Roi si è dedicato
anima e corpo a questa storia, visto che è l’unica firmata da lui in tutto il
2001 e solitamente lui è piuttosto prolifico. Pur non spargendo i consueti ettolitri
di china sulle tavole, (chissà quanto sarebbero lievitati i costi di tutto il suo
solito nero in grande formato!) realizza disegni di pregevole fattura, alcuni
di grandissimo impatto, come la vignetta grande di pag. 154 (150° tavola) che sarebbe
da farsi autografare e incorniciare, e quella dell’ultima pagina. Unico difettuccio:
in alcune vignette Dylan e il giovane detenuto Winnie si assomigliano un po’
troppo. Stano si dimostra come sempre ispirato dalle copertine dei “dylandogoni”
e realizza l’ennesima bella cover con un minaccioso cappio in primo piano con
al centro la testa di Dylan.
Curiosità: C’è un ideale
collegamento con lo Speciale n. 15 pubblicato un paio di mesi prima, quando Dylan
afferma di aver letto anche lui Moby Dick.
BODYCOUNT: 15 sicuri, oltre a un
numero non quantificabile di guardie carcerarie e detenuti.
TIMBRATURA: No
CITAZIONE: “Dentro di me
vivono i miei tanti figli, che nutro e accudisco, anche se loro non mi amano… perché
sono una madre troppo severa e possessiva… Per uscire dal mio ventre, non
bisogna nascere. Anzi, per molti l’unico modo è morire…”
VOTO: 9
Soggetto: Faraci (4)
Sceneggiatura: Faraci (4)
Disegni: Roi (36)
Ero convinto di aver discusso con te in passato di questa storia, e io ne parlavo come di un capolavoro e te come di una storia discreta ma nulla più. Comincio a essere così vecchio da costruirmi falsi ricordi di avvenimenti passati 🥴 .
RispondiEliminaNon so, anche rileggendo il mio vecchio commento di oltre 10 anni fa ne ero entusiasta. Se ne avessimo parlato all'epoca in cui uscì forse sarei stato più tiepido ma non ci conoscevamo ancora credo.
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