Impeccabile la famiglia
Milford, protagonista di una famosa serie televisiva di qualche anno fa. Ora,
però, dopo una puntata celebrativa, i suoi protagonisti cominciano a morire
assassinati in modi tanto raccapriccianti quanto impossibili. Un implacabile
contrappasso recide le loro esistenze, e Dylan, su richiesta della bella e
recalcitrante Ellen, nipote dello sceneggiatore e regista della serie,
indagherà gli effetti nefasti della fantasia frustrata.
Paradossalmente sembra quasi una
critica all’andamento della testata quella fatta da Medda in quest'albo. Il
politically correct tanto biasimato in questo n. 203 stava ormai prendendo sempre
più piede anche su Dylan Dog, con splatter ormai quasi bandito, buonismo
imperante, rispetto dei “paletti” bonelliani e correlata presa di distanza da tutto ciò che
poteva essere oggetto di censura. Al di là di coincidenze, fortuite e non, la
storia regge ancora bene, anche se è molto meno originale de La prigione diCarta che idealmente potrebbe essere considerata come una sorta di ideale prequel
di questa per quanto riguarda il discorso meddiano sul "talento"
dello scrittore. Non a caso appaiono come comparse, in una sorta di trait
d'union ideale, i barboni protagonisti del #114. Stavolta il focus è la
frustrazione dell'autore, costretto a scendere a compromessi e ad assistere
impotente (ma complice controvoglia) allo stravolgimento della propria opera.
Un vero e proprio incubo che reclama una vendetta che arriverà in definitiva
fuori tempo massimo. Tra l’altro Bloch, sbroccando nel pub a metà albo, aveva
già inconsapevolmente individuato il colpevole! Come fonte di ispirazione, nell’Horror
Club viene citata La famiglia Addams, mentre io avevo pensato alla
sit-com concorrente I mostri (The Munsters), più simile, a partire
dal titolo, ai The Moonster immaginati da Medda. Forse si può intravedere
anche un piccolo debito nei confronti del racconto di King (ancora lui!) Il word
processor degli dei. La sceneggiatura fila via liscia senza particolari
sussulti né in positivo né in negativo, un po’ troppi balloon ma il finale si lascia
apprezzare. Piccatto stava vivendo una seconda giovinezza artistica a partire
da Il seme della follia e anche qui conferma la sua buona forma. Deludente
invece la copertina di Stano, tra le peggiori a mio gusto, tra quelle da lui realizzate
per la serie regolare: non mi piacciono né le scelte cromatiche, né il castello
sullo sfondo, né la posizione delle braccia di Dylan. La famiglia di mostri è
poco definita e sembra “galleggiare”.
Nel complesso un prodotto discreto.
BODYCOUNT: 7
TIMBRATURA: No
CITAZIONE: “Qualunque cosa tu
abbia visto.. non era reale.. era soltanto immaginazione..”
VOTO: 7
Soggetto: Medda (11)
Sceneggiatura: Medda (11)
Disegni: Piccatto (37)

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