domenica 20 dicembre 2020

Dylan Dog #52 - Il marchio rosso

 

Yuri Wolkoff non capisce perché lo accusino di delitti tanto mostruosi. Ma con il suo volto segnato dalla miseria è per tutti il canditato perfetto: non può che essere lui l'assassino, il terribile Marchio Rosso! Dopo la sua morte, però, il dubbio comincia a crescere, serpeggia nella nebbia come uno spettro. Un fantasma che torna a uccidere...

Annata 1991 che si apre ancora nel segno di Sclavi, mentre ai disegni un nuovo esordio, secondo consecutivo: dopo il giovane Brindisi è il turno del “maturo” Gianluigi “Didi” Coppola (purtroppo scomparso nel 2015), presentato nel Club dell’Orrore dell’inedito come uno dei più grandi illustratori del mondo. Il suo sodalizio con l’indagatore dell’incubo sarà, tuttavia, molto più breve di quello del collega salernitano, per motivi di cui avremo modo di parlare tra qualche tempo e che se siete fan di Dylan Dog conoscete sicuramente. Coppola irrompe di prepotenza nella serie con una prova fantastica in cui mette a frutto tutta la sua grande esperienza da illustratore, pur mostrando più di qualche pecca nell’adattarsi a un media come il fumetto in cui era in pratica davvero un esordiente. Lo si vede nella continua ricerca di riferimenti ad altri disegnatori dylaniati (a pag. 12 e pag. 87 il suo Dylan ricorda quello di Stano, a pag. 49 la vittima quasi ride quando viene uccisa, come le donne di Tacconi) e alcune vignette, probabilmente poco riuscite o magari non completate, sono state realizzate da colleghi (ad es: Bloch a pag. 27, prima in alto, è senz’altro opera di Casertano). Indimenticabili i suoi omicidi a colpi di rasoio, una Londra a tratti quasi vittoriana, il volto di Wolkoff sosia di Boris Karloff (che riecheggia anche nel nome). L'unica cosa che non gli perdono è Dylan ritratto con la maglietta della salute sotto la camicia. Sarà poi per le acconciature e gli abiti, i volti dei comprimari, lo stesso stile di Coppola dal sapore vintage e anche per la trama ideata da Sclavi che sembra quella di un giallo all'italiana (nudi compresi), ma sembra di trovarsi catapultati negli anni ‘70. Ci si mette anche l'omicidio con l'arpione di “baviana memoria”, mancherebbe solo una bottiglia di J&B. E a proposito di arpioni e di docks, è indubbio che questo n. 52 abbia diversi punti in comune con Il mistero del Tamigi (forse non a caso nel cimitero a pag. 55 si scorge la lapide di un certo Basil dietro a quella dell’esoterista Alister Crowley): un presunto fantasma che ritorna dal passato in cerca di vendetta e l’ambientazione portuale, anche se quella nebbiosa e spettrale di Roi è qui sostituita da quella “sporca” e morbosa di Coppola. Mentre a Chiaverotti interessava per lo più scrivere un buon slasher, Sclavi si ispira invece ai delitti di Jack lo Squartatore, per costruire un dramma horror con notevoli implicazioni socio-politiche, senza scadere nel facile buonismo. Emblematica la reazione di Dylan al ritorno dalla visita al covo degli "emarginati": malgrado l'empatia nei loro confronti, non può fare a meno di sentirsi sporco e di provare orrore; atteggiamento umano e comprensibile che lo rende più vero che mai. Tuttavia il Tiz non riesce ad evitare di scivolare nella retorica, anche banale, con l’arringa  del nostro davanti alla “giuria”, pur in linea con la sua visione proletaria a difesa dei “diversi” e con il tema della giustizia che non è per tutti (e mai lo sarà). Fastidiose pure le battute maschiliste, anche se fortunatamente Dylan lo riconosce, facendo mea culpa. Poco plausibile l'identità del primo killer, ma forse anche l'unica possibile per far tornare i pezzi del puzzle, a fatica, al loro posto (finale compreso). Da notare qui l'atteggiamento di Dylan, ben distante da quello degli Uccisori o di Nebbia: dal giustizialista al garantista per finire Ponzio Pilato. Tempi diversi, differenti sensibilità. Sclavi oscilla sul filo della volgarità nel descrivere il sordido ambiente delle prostitute d'alto bordo, con tanto di infamante “lettera scarlatta”, senza mai giustamente abbandonarvisi del tutto. Gioca anche un po’ sporco con il lettore con la testimonianza di Matt Quayle, nella quale vengono riportati i pensieri della moglie, sebbene invero la sceneggiatura si basi proprio SPOILER sulla faziosità dei testimoni FINE SPOILER. Malgrado i vari difetti, la storia funziona, le feroci rasoiate dell’assassino lasciano letteralmente il segno e il volto di Wolkoff, inconsapevole vittima delle atrocità altrui e simbolo degli “invisibili” per cui non c’è possibilità di redenzione, è impossibile da dimenticare.

Curiosità: (1)Sull’inedito viene ancora sponsorizzata l’Agenda Dylan Dog 1991, già ampiamente pubblicizzata nel numero precedente. (2) Dylan si rivela un lettore eclettico, dimostrando interessa anche per la parapsicologia: nel suo studio si notano saggi di Edmund Gurney ed Harry Price (quest’ultimo anche noto “ghost hunter”. (3) Contraddicendosi rispetto allo Speciale n. 3, Dylan ascolta a tutto volume gli Iron Maiden con Children of the damned.

BODYCOUNT: 12

TIMBRATURA: Sì (1, Delia)

CITAZIONE: “Io.. no.. capito..”

VOTO:  8,5

Soggetto: Sclavi (45)

Sceneggiatura: Sclavi (41)

Disegni: Coppola (1)

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