sabato 13 novembre 2021

Dylan Dog Gigante n. 2 - L'inquilino del terzo piano

 

Il povero signor Kaminski era ovviamente affetto da paranoia. Sosteneva che i suoi vicini di casa lo tormentassero con mille astuzie, che volessero farlo impazzire… E forse aveva ragione! Cosa vive tra le vecchie pareti di quel palazzo? Forse la peggiore maledizione, quella che ci condanna a guardare noi stessi dentro uno specchio penetrante, ad affrontare la nostra immagine, il nostro doppio.

Il 1994 è inaugurato dall’albo Gigante più bello di sempre.  Come il precedente è ancora un “tutto Sclavi”, anche se il Tiz, già in fase di abbandono dalla serie, probabilmente aveva già scritto da tempo le quattro storie che lo compongono. Iniziamo partendo dalla prima, L’inquilino del terzo piano, una delle migliori in assoluto tra quelle pubblicate sul “dylandogone” e tra le meglio riuscite dell’intera serie. Spoiler da qui in avanti. Sclavi aveva già fatto le prove generali per questa storia con uno degli episodi de Gli inquilini arcani, intitolato, con uno slancio di fantasia, Il fantasma del III piano, mentre un altro, L’appartamento n. 13, ne condivideva l’atmosfera. Qui il Tiz porta a completa maturazione la sua personale rilettura dell'omonimo film di Roman Polanski (1976), che a sua volta mutuava le atmosfere quasi kafkiane del romanzo di Topor da cui è tratto. Sclavi utilizza parecchi elementi, scene e particolari della pellicola, a volti rimescolandoli (le bende, i simboli egizi) ma il processo di perdita d’identità non è seguito sino in fondo, rinunciando alla circolarità della pellicola di Polanski in favore di un approccio originale. Il finale dell'albo riconduce infatti a uno sdoppiamento della stessa persona in due individui, non solo a livello pischico ma anche fisico. La pensione di Zoltan, nel suo essere dimora di doppelgänger, rimanda inoltre agli incubi di Casa Velasco dello Speciale n. 5. Una suggestione veicolata  anche dai disegni di un Casertano strepitoso, che per l’occasione fa largo uso delle sue vignette “deformate” regalandoci formidabili perle (pag. 22, pagg. da 53 a 55). Il buon Giampiero rende palpabile la progressiva paranoia di Dylan e opprimente la claustrofobica ambientazione condominiale, chiudendo così in maniera splendida i suoi primi 7 anni di collaborazione con l'indagatore dell'incubo. Dopo una pausa lo ritroveremo "diverso".  Se invece Stano non ha mai avuto un gran feeling con le copertine degli speciali, lo stesso non si può affermare per quelle dei giganti. Bellissima anche questa del n. 2, sempre ad acquerelli come la prima, anche se l’ombra nera con il cappellaccio è un po’ fuori focus rispetto all’atmosfera della storia.

Non arriva all’eccellenza assoluta solo per l’eccessivo legame a doppio filo con il modello polanskiano, ma il livello è altissimo.

Curiosità: Dopo il n. 26 Dylan torna a fare “cilecca”.

BODYCOUNT: 6

TIMBRATURA: No

CITAZIONE: “Non ho voglia di fare il galeone.. né di leggere, o suonare il clarinetto.. e il tempo sembra che non passi mai.. non viene mai l’ora di tornare a.. a casa..”

VOTO: 9

Soggetto: Sclavi (85)      

Sceneggiatura: Sclavi (83)

Disegni: Casertano (10)

2 commenti:

  1. Obiettivamente è una bella storia, ma leggerla mi costa fatica, perché mi mette a disagio.

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