martedì 21 gennaio 2025

Dylan Dog # 171 - Possessione diabolica

 

Viveva nell'oscurità dello spazio profondo, e quando Kay Harrison l'astronauta ha violato il suo mondo ha deciso di seguirla. Anzi, di più: ha deciso di prendere la sua anima. Ora la “cosa” è giunta fino a noi e qualcuno la dovrà fermare. Qualcuno dovrà uccidere quella donna vittima di una "possessione diabolica" e il folle giustiziere Valus Grant vorrebbe che a farlo fosse proprio Dylan!

Chiaverotti torna dopo oltre due anni di assenza sulla serie regolare ma non lo fa in pompa magna, bensì con una storia piuttosto derivativa. Il soggetto, che ha qualche somiglianza con il ben più riuscito La porta dell'Inferno di Manfredi (stesso disegnatore tra l'altro), è davvero poca cosa: in pratica una rilettura al contrario di The Astronaut's wife-La moglie dell’Astronuta, film di Rand Ravich (chi??) con protagonisti Johnny Depp e Charlize Theron uscito appena l’anno prima. Il Chiave ricicla anche qualche idea sua (come la strage a casa del procuratore che rimanda a Il bosco degli assassini) ma a deludere davvero è il finale dove la storia si rivela essere ATTENZIONE SPOILER DA QUI IN AVANTI nient'altro che uno scialbo giallo. L’autore avrebbe dovuto instillare maggiormente nel lettore il dubbio che il diavolo ci avesse messo sul serio lo zampino, invece rimane solo una piccola sfumatura demoniaca che purtroppo si perde negli occhi di Kay nell’ultima vignetta.  Però rileggendo quest'albo ho avvertito una sensazione di freschezza nei dialoghi, una padronanza nella gestione del personaggio di Dylan e delle sue interazioni con Bloch e Groucho e quell’atmosfera horror che tanto mancavano alle storie di quel periodo. La copertina di Stano è poi assolutamente sublime (mezzo punto in più solo per quella). Nonostante il superlavoro a cui Freghieri è stato chiamato in quel periodo (quasi 450 tavole realizzate in un anno), i suoi disegni soffrono meno l'impressione del "tirato via" rispetto alle altre storie e, favoriti anche dai tanti primi piani, riescono a farsi apprezzare. Bella la sequenza splatter delle pagg. 82-83 ma a piacermi più di tutto è quando il diavolo mette il suo zampino nei dettagli delle vignette (vedasi ad es. pagg. 27, 39 e 85).

In sintesi, un’avventura di routine per il nostro indagatore dell’incubo, impreziosita dalla superba cover del maestro Stano.

Curiosità: Da questo numero scompare l'editoriale "Il Club dell'Orrore" in seconda di copertina, rimpiazzato dall'elenco arretrati. L'Horror Post diventa così "Dylan Dog Horror Club", fondendo le due rubriche.

BODYCOUNT: 8

TIMBRATURA: No

CITAZIONE: “Lui si annida nel tuo corpo, Kay, lo so… E sono venuto a liberarti!”

VOTO: 6,5

Soggetto: Chiaverotti (51)

Sceneggiatura: Chiaverotti (52)

Disegni: Freghieri (28)


lunedì 20 gennaio 2025

Dylan Dog Gigante n. 9 - L'esercito del male

 

Fluttuano nell'aria, sono globi leggeri e luminosi… ma attenzione, perché sono venuti per prendervi il corpo e l'anima. Tre morti inspiegabili a Londra, e, altrettanto inspiegabili, tre resurrezioni. Ma quelli che sembravano essere il nemico non sono, in realtà, il pericolo maggiore. Anzi, sono l'unico baluardo che potrà arrestare il dilagare sulla Terra delle legioni infernali di Alhambra, e Dylan si troverà a combattere al fianco di un angelo caduto e di questi inquietanti alleati per la salvezza di tutti!

Il nono gigante inaugura la non fortunatissima formula dei “dylandogoni” a storia unica che si protrarrà per sette anni, fino al 2006. Per l’occasione, ai testi troviamo una “guest star”, un gigante (giusto per restare in tema) del fumetto: Robin Wood, purtroppo scomparso nell’ottobre 2021. Paraguayano di nascita e argentino di adozione (nonché in seguito cittadino danese) Wood nell’Horror Post del n. 170 (inedito) venne presentato ai lettori dylaniati come “uno dei più grandi sceneggiatori al mondo”. E in effetti nel 2000 la sua produzione era già praticamente sterminata e il suo nome era molto noto anche in Italia grazie ai periodici dell’editoriale Eura (Skorpyo e Lanciostori) su cui erano state pubblicate le storie di diversi dei suoi personaggi più famosi come Dago, Savarese, Amanda e Martin Hel, tanto per citarne alcuni. Nonostante le premesse, devo ammettere che questo primo gigante a storia unica mi lasciò con l'amaro in bocca. Con le successive riletture l’ho parzialmente rivalutato: ci sono indubbiamente delle parti piuttosto ben riuscite, come il prologo,  qualche pregevole scena splatter (su tutte il cuore estirpato a mani nude al poliziotto) e le suggestive sequenze oniriche con protagonista Alhambra. Il problema è che le atmosfere pendono troppo verso il fantasy e in generale sono poco dylandoghiane. Anche il nostro Dylan è stato parzialmente reinterpretato da Wood che ne ha evidenziato a dismisura la figura di bel tenebroso. Non a caso l'addio finale è quasi in stile Casablanca. Mai visto poi un Dylan così depresso (altra caratteristica latente, qui amplificata al massimo). in confronto quello del prologo di Ti ho visto morire è un buontempone. Forse Wood non conosceva appieno il personaggio e la serie oppure li ha voluti rimodellare secondo la sua sensibilità di autore, ipotesi che troverebbe conferma anche nelle successive due sceneggiature scritte per l’indagatore dell’incubo. I disegni di Freghieri non riescono a tenere lo stesso livello per tutte le tavole, ma ci sono vignette davvero molto suggestive che il grande formato del Gigante (quanto mi manca!) contribuisce ad esaltare. I suoi personaggi femminili poi hanno una sensualità che pochissimi altri disegnatori dylaniati riescono ad emulare. La copertina ad acquerello di Stano rispetta il titolo ma promette di più di quello che poi la storia mantiene. Non brutta, ma troppo distante dallo spirito della serie per piacermi davvero.

Curiosità: (1) Ai tempi della sua prima uscita, L’esercito del male con le sue 236 tavole di lunghezza segnò il record di storia dylaniata più lunga fino ad allora pubblicata. (2) Wood scrisse altre due storie per Dylan Dog: Il grande Marinelli (pubblicato su Almanacco della Paura 2002) e La donna venuta dal nulla (uscito sul Maxi n. 6 del 2003).

BODYCOUNT: 8

TIMBRATURA: Sì (1, Vanessa)

CITAZIONE: “Neanche nei film di Bruce Willis l’eroe è costretto a sbattersi come me. E quelli sono personaggi di fantasia”

VOTO: 6

Soggetto: Wood (1)

Sceneggiatura: Wood (1)

Disegni: Freghieri (27)


domenica 19 gennaio 2025

Dylan Dog #170 - La piccola morte

 

Vi ricordate di Pearl Dee e del suo pupazzo Byron? Beh, sarebbe preferibile, perché state per incontrarli di nuovo. A complicare le cose, però, stavolta interviene un uomo fuggito da una base militare nascosta da qualche parte nella steppa della Russia settentrionale. Sacha Dagerov è uno scanner, può uccidere con il potere della sua mente. E vuole incontrare Pearl, l'ultima rimasta di quelli come lui

Il morbo della “sequelite” torna a colpire imperterrito Dylan Dog. Stavolta tocca al buon Scanner, avere un seguito di cui non si sentiva il bisogno. Riproposto lo stesso team al motto di “squadra che vince non si cambia”, con Ruju ai testi e Roi ai disegni, il risultato purtroppo è di gran lunga inferiore al predecessore. La storia si perde via tra flashback del #135 e drammi socio-familiari-esistenziali in cui Dylan più che da indagatore sembra essere coinvolto nella vicenda come assistente sociale. L'incontro-scontro tra il figliastro di Dagherov e la sorellina, unico vero motivo di interesse dell'albo, arriva troppo tardi e si conclude frettolosamente, in maniera piuttosto scialba. Peccato, ci sarebbe stata la possibilità di narrare in maniera diversa e più coinvolgente il loro dualismo forse. Tra l’altro, com’è che Pearl cresce, diventa maggiorenne e tutti gli altri (non solo Dylan, ma anche Madeleine) restano uguali? Da salvare però l'ultima pagina. Roi un po’ penalizzato dall’ambientazione per lo più diurna, ma i suoi disegni si attestano comunque su buoni livelli e riescono a infondere quella componente horror (vedasi gli occhi dei due scanner e i loro attacchi psicocinetici) che nella storia altrimenti latiterebbe. Il “suo” Byron, poi, è sempre inquietante. Della copertina di Stano mi piace moltissimo lo sfondo con il volto di Pearl, rovinato però dall’aggressione di Sasha a Dylan che trovo mal concepita.

BODYCOUNT: 13

TIMBRATURA: No

CITAZIONE: “La libertà è un piccolo passero che vola e salta e vola, e salta e vola. E passa tra le sbarre del mondo come una carezza dolce come un colpo di pistola”.(sì, lo so, è la stessa citazione che ho scelto per Scanner, ma qui ritorna e piace ancora)

VOTO: 5

Soggetto: Ruju (33)

Sceneggiatura: Ruju (33)

Disegni: Roi (35)


sabato 18 gennaio 2025

Dylan Dog Fuoriserie - Beffa alla morte

 

Nel Libro del Destino è scritto che Eleanor morirà. Forse Dylan può salvarla sostituendosi a lei, ma la Morte non si lascia beffare tanto facilmente. O forse sì?

Decimo appuntamento con gli inediti a colori pubblicati in coda alle ristampe degli Speciali su cartonato gigante Mondadori. Si rivede Chiaverotti dopo due anni di assenza e prestissimo sarebbe tornato a farsi vivo anche sulla serie regolare. Fa coppia con lui, come nello Special cui questa storia si accompagna, il prolificissimo Freghieri. Beffa alla morte è a tutti gli effetti il seguito diretto, anzi direttissimo, de Il Monastero. Nel finale di quest’ultimo, che secondo me era perfetto nel suo rimanere aperto, avevamo lasciato un Dylan pieno di dubbi sull’opportunità (e sulla possibilità) di cambiare il destino in viaggio verso Rorrim, nel disperato tentativo di salvare la vita all’amata Eleanor Drew. E qui nella prima vignetta lo ritroviamo esattamente allo stesso punto, in una notte piovosa a bordo del fido maggiolone. Nel commentare Il Monastero avevo già notato come, oltre all’ovvio legame con La piccola biblioteca di Babele, vi fossero punti di contatto anche con lo speciale n. 7, Sogni. Punti di contatto che in questa breve storia si fanno decisamente più stringenti, dal momento che Chiaverotti rispolvera il personaggio del “Matto” e qui viene davvero il dubbio che Rorrim e Nowhere siano in realtà lo stesso posto. Cameo per la Morte. Tutto sommato non mi dispiace l’idea che il destino non sia immutabile, anche se il lieto fine manca un po’ di pathos, forse dovuto alle poche pagine a disposizione (le canoniche 16). Disegni di Freghieri di mestiere, senza particolari guizzi.

Curiosità: Oltre che su Super Book n. 35, la storia è stata ristampata nell’agosto del 2016 nella collana “Il nero della paura”, pubblicata in collaborazione con la Gazzetta dello Sport.

BODYCOUNT: 0

TIMBRATURA: No

CITAZIONE: “Ma qualche volta, anche il destino si può riscrivere…”

VOTO: 6,5

Soggetto: Chiaverotti (50)

Sceneggiatura: Chiaverotti (51)

Disegni: Freghieri (26)


martedì 14 gennaio 2025

Dylan Dog #169 - Lo specchio dell'anima

 

Brighton Whitaker era un grande scrittore, o forse soltanto il cronista nell'ombra delle efferatezze di un serial killer. Comunque sia, la sua morte costringe Dylan a uno strano e inquietante gioco: scrutare nella mente del mostro, calarsi nei suoi panni, assorbirne la personalità. Ma ora contro chi dovrà combattere Dylan Dog, se l'assassino altro non è che un riflesso nello "specchio dell'anima"?

Il capolavoro di Paola Barbato, nonché uno dei migliori albi in assoluto pubblicati dopo i primi mitici cento numeri. Lo metto tranquillamente in una mia ideale top3-post 100 accanto a Phoenix di Sclavi e Mater Morbi di Recchioni. La sceneggiatura è una macchina perfetta che amalgama allucinazioni polanskiane con echi di giallo hitchcockiano, inseguendo un gioco orrorifico di sdoppiamento di personalità che in prima battuta strizza l'occhio alla Metà Oscura di King per poi andare a parare da tutt’altra parte. La perdita di identità diventa una disperata e drammatica ricerca dell'affermazione del proprio essere tanto per Whitaker quanto per Dylan. Un Dylan mai così stranito, alienato, in bilico sulla via del male, ma capace di mantenere quel minimo di lucidità necessaria a salvarsi. Un piacere vedere un Bloch, co-protagonista a tutti gli effetti della vicenda, lanciarsi in forma smagliante nell'indagine in prima persona, anche in azione vera e propria, tanto da far dimenticare il “sacrificio” di Groucho, qui in effetti un po' trascurato e serioso. E poi c'è lui… Joe Montero! Un killer ultracarismatico e implacabile che esiste prepotentemente e uccide per il puro piacere di farlo, senza avere neppure un'autentica identità fisica. Un personaggio divenuto istantaneamente uno dei villain più amati di sempre dal popolo dylandoghiano. Lo spiegone finale, molto contenuto invero rispetto alle prime uscite barbatiane, è stavolta pienamente giustificato e funzionale al meccanismo giallo che traina la soluzione del caso. Paola non sbaglia praticamente nulla riuscendo a coinvolgere emotivamente il lettore sino alle ultime pagine. Disegni di Mari sublimi, eccellenti nel raccontare il cambiamento di Dylan come una progressiva discesa versa la follia. Tutte le vignette in cui appare Montero sono piccole gemme da rimirare affascinati in continuazione. Ottima anche la copertina in penombra di Stano.

Imperdibile.

BODYCOUNT: non quantificabile con esattezza

TIMBRATURA: No

CITAZIONE: “Sono un uomo fortunato… Mi chiamo Joe Montero… e sono un assassino.”

VOTO: 10

Soggetto: Barbato (5)

Sceneggiatura: Barbato (4)

Disegni: Mari (7)


lunedì 13 gennaio 2025

Dylan Dog Special #14 - Il padrone della luce

 

Un esperimento dagli effetti imprevedibili, una formula che fa gola ai servizi segreti di mezzo mondo e una nuova, straordinaria fonte di energia. Per neutralizzare quella che, nelle mani sbagliate, potrebbe divenire un'arma di inimmaginabile potenza distruttrice, Dylan Dog dovrà affrontare misteriose creature fatte di sola luce...

I primi cinque speciali dylaniati avevano ospitato i volumetti dell’Enciclopedia della Paura, quelli dal sesto al tredicesimo invece erano accompagnati dai “Grouchini”. Questo 14° inaugura invece la lunga stagione degli Special senza allegati che perdura sino ad oggi. Vengono in compenso aumentate le pagine dell’albo, che passa da 128 a 160 e la Bonelli indora la pillola non aumentando il prezzo di copertina come stava avvenendo per tutte le altre pubblicazioni in quel periodo (ma rimedierà con lo speciale successivo). Rinnovata anche la grafica di copertina, meno “invasiva” di quelle precedenti. Peccato però che Stano confezioni una copertina bruttarella ed insipida che non avrebbe meritato tutto quello spazio. La storia all’interno purtroppo è anche peggio. Parlando prima dei disegni, troviamo qui un Piccatto ai minimi storici, che sembra ritrovare ispirazione solo nelle vignette in cui compare la stupenda Sherazade che evidentemente anche su di lui riusciva ad esercitare il suo fascino. L’artista piemontese riesce a infondere con il suo tratto la carica erotica e la sensualità che il personaggio poi emana ogni volta che compare. Per il resto le sue tavole sembrano “tirate via”. Deludono soprattutto quelle delle uccisioni ad opera delle creature di luce (terribile la rana alle pagg. 14-15). Passando ai testi, Ruju elabora una storia assolutamente antidylandoghiana che si dipana per 160 interminabili pagini tra intrighi internazionali e cospirazioni politico-militari-scientifiche che fanno incetta di luoghi comuni e con protagonista un insopportabile Dylan “Bond”, che tutto sembra fuorché l’indagatore dell’incubo che tutti conosciamo. E il tutto da sciropparsi per 160 interminabili pagine. La vignetta del tizio sgamato dalla moglie mentre fa apprezzamenti su Sherazade non è nemmeno degna delle barzellette della settimana enigmistica. Fosse stato ideato come parodia consapevole, anzi meglio, fosse stato concepito come soggetto di un Grouchino con battute a raffica e interazione con le 3 improbabili spie avrebbe potuto avere anche un senso e risultare magari divertente. Invece, il risultato finale è la più grossa delusione dei miei primi 14 anni da lettore dylaniato e ad oggi non ho motivi di ripensamento.

BODYCOUNT: 9

TIMBRATURA: Sì (1, Frances)

CITAZIONE: “La luce… la luce ha divorato il mondo… diffidate della luce…”

VOTO: 4

Soggetto: Ruju (32)

Sceneggiatura: Ruju (32)

Disegni: Piccatto (32)


domenica 12 gennaio 2025

Dylan Dog n. 168 - Il fiume dell'oblio

 

Seymour Zaplowsky ha un nome decisamente fuori dell'ordinario, ma se le sue stranezze si limitassero a questo, non sarebbe una cosa tanto grave. In realtà, il povero Seymour è tormentato da visioni improvvise e molto realistiche. Visioni di morte che portano alla luce il cadavere mutilato dell'ultima vittima del Tagliatore di Teste. E Dylan può così alzare il velo su un segreto custodito per vent'anni dalle torbide acque del Fiume dell'Oblio!

Finalmente una buona storia ad accompagnare i disegni di Di Vincenzo, che qui riversa tonnellate di inchiostro nelle sue vignette. Il risultato è assolutamente convincente, perché da una parte riesce ad ammantare la storia della giusta cupezza nei suoi momenti più tesi e dall’altra riesce a rendere più marcate le espressioni dei personaggi. Dal canto suo Medda parte da un soggetto tutto sommato povero, ma la differenza la fa il modo in cui gestisce la sceneggiatura. Tra flashback e visioni dal passato, la narrazione viene infatti affidata dalla metà in avanti a diario e penna di Dylan. Una scelta insolita che rende piacevole la lettura, così come inusuale è il personaggio di Seymour-Simon, una volta tanto un cliente "normale", senza traumi nel passato o verità da nascondere nel presente (oltre al fatto che statisticamente i clienti maschi per Dylan sono sempre stati una netta minoranza). Insolita anche la scelta di inserire il titolo a fondo pagina a conclusione del prologo. Insomma, tanti piccoli piccoli particolari che sollevano l'albo dalla media. Il finale sembra quasi avulso rispetto al resto, ma in realtà fornisce al lettore la chiave di interpretazione di quanto è successo (e poi si è ripetuto) a Fairwater Creek, oltre a giustificare il titolo. Restano però un paio di difetti che minano la credibilità del racconto, come la parte in cui Dylan ipnotizza Simon in carcere (bastano due consigli per imparare i fondamenti dell’ipnosi?) e quella della “materializzazione” delle chiavi. Avrei dato un volto più alto altrimenti. La copertina di Stano si fa apprezzare per le scelte cromatiche di cielo e acqua e per la raffigurazione di Dylan dal basso.

Curiosità: A pag. 26 Simon chiede a Dylan se conosce uno psicanalista e il nostro risponde che ne conosceva uno che “adesso non esercita più”. Anche se non viene espressamente citato, il riferimento è evidentemente al Dott. Bronski (apparso nei nn. 461, 113, oltre a qualche cameo e citazione in altri albi) che era solito usare l’ipnosi nelle sue sedute.

BODYCOUNT: 5

TIMBRATURA: Sì (1, Robyn)

CITAZIONE: “Non so se fu quello l’inizio di tutto, o se è stato solo un frammento di memoria che ha attraversato i millenni… Un ricordo smarrito, uno dei tanti che fluttuano nella corrente del tempo… una goccia nel fiume dell’oblio…

VOTO: 7

Soggetto: Medda (7)

Sceneggiatura: Medda (7)

Disegni: Di Vincenzo (4)


giovedì 9 gennaio 2025

Dylan Dog Fuoriserie - Il paradiso dei turisti

 

Una vacanza da sogno? Con Dylan di mezzo non può che essere un incubo!

Questa brevissima storia di sole 8 pagine, scritta da Tiziano Sclavi e disegnata da Bruno Brindisi, è stata pubblicata originariamente il 3 agosto 2000 sul n. 139 della rivista “I viaggi di Repubblica”, all’epoca supplemento gratuito allegato tutti i giovedì al quotidiano “La Repubblica”.  Dylan si guadagnò anche l’onore di apparire sulla copertina della rivista, sempre ad opera di Brindisi, capace di sintetizzare efficacemente con una sola immagine il succo della storia. In tema coi viaggi, Sclavi ci mostra come agli occhi di un turista alieno il nostro pianeta appaia pieno di meraviglie, naturali e architettoniche, da sogno, ma allo stesso tempo sia funestato da orrori terribilmente reali che invano si cerca di nascondere dietro la porta di un metaforico sgabuzzino. La particolarità de Il paradiso dei turisti nella sua versione primigenia, oltre ovviamente al formato più grande, è che alcune vignette sono realizzate a colori, altre in tradizionale bianco & nero e un paio sono addirittura “miste”; peculiarità purtroppo assente nella versione ristampata su Super Book n. 31.

Curiosità: Botolo, il cagnolone vagabondo ricorrente nella serie, compare sulla copertina della rivista in auto accanto a Dylan, ma non nella storia.

BODYCOUNT: 0

TIMBRATURA: No

CITAZIONE: “Davvero una seccatura. Eppure mi avevano detto che il vostro pianeta è un paradiso…”

VOTO: S.V.

Soggetto: Sclavi (119)

Sceneggiatura: Sclavi (127)

Disegni: Brindisi (22)


mercoledì 8 gennaio 2025

Dylan Dog n. 167 - Medusa

 

Stenno la forte, Euriale che salta lontano e, in ultimo, la più terribile delle tre Gorgoni: Medusa, che tramuta in pietra chiunque la guardi negli occhi! Scaturisce dalle leggende più antiche la prova con cui dovrà misurarsi stavolta l'Indagatore dell'Incubo, ma, come spesso accade, l'orrore e la pietà procedono fianco a fianco, e non c'è per Dylan creatura tanto mostruosa da non meritare, infine, un po' di compassione!

Prima o poi doveva capitare che Dylan, esauriti da tempo i mostri “classici” della cinematografia e della letteratura orrorifica, dovesse confrontarsi anche con quelli della mitologia greca. Intuizione sicuramente originale quella di Paola Barbato, ma questa storia non mi piace affatto. Troppi balloon, dialoghi, spiegoni (ci dobbiamo sorbire prima quello di Meyers poi quello di Ely) che dimostrano come l’autrice fosse ancora “in rodaggio” come sceneggiatrice di fumetti, pur palesando un indubbio talento a livello di scrittura. Gli stessi difetti che avevamo riscontrato nel suo esordio sulla serie regolare, insomma. Ma ne IlSonno della Ragione il finale riusciva a gratificare il lettore con una soluzione sorprendente che si ricollegava in modo circolare a un incipit già di per se emozionante, cosa che in questo n. 167 non accade, anzi la conclusione si rivela la parte più deludente dell’albo. Le due sorelle della Medusa in versione “Charlie's Angels” sono un tocco trash che da Paola non mi sarei aspettato. E lascia interdetti la facilità con cui Bloch e l'opinione pubblica accettino la trasformazione in pietra dei malcapitati venuti in contatto con la gorgone. Comunque, sempre tracciando un parallelo con il n. 157, c’è da notare come le figure di Ely/Medusa e Dorothy/Daisy e le vicende che le vedono protagoniste abbiano anche molte similitudini: nessuna delle due è chi gli altri credono sia, entrambe sono temute e condannate per questo a rimanere sole, senza aver conosciuto l'amore... almeno fino a Dylan, l'unico in grado di scorgerne il lato "vero", migliore, anche se nel caso di Ely forse la sua empatia matura un po' troppo in fretta. I disegni di Brindisi risultano sacrificatissimi da balloon e didascalie che divorano letteralmente quasi tutte le vignette e quindi anche il suo apporto grafico non riesce ad essere efficace come di consueto. Sarebbe anche discreta la copertina “celliniana” di Stano con un Dylan, in versione Perseo, che sfoggia un’espressione indecifrabile, ma trovo che lo sfondo non riesca ad amalgamarsi bene con il resto della composizione.

Anche dopo questa rilettura continua a deludermi. Sì mi piace la parte in cui Ely fa la pizza insieme a Groucho… Un po' troppo poco. Per fortuna Barbato non avrebbe tardato molto a rifarsi.

Curiosità: (1) A soli due mesi da L'isola dei cani, ritroviamo un Dylan ancor più a proprio agio nell'uso di un PC e nella navigazione in internet, cosa che praticamente non accadrà mai più se non in tempi recentissimi. (2) Bruno Brindisi ha dedicato l'albo alla memoria dell'amico Fabrizio Bellocchio, scomparso qualche tempo prima.

BODYCOUNT: 10

TIMBRATURA: No

CITAZIONE: “Noi non temiamo il tuo sguardo diabolico, siamo protetti dalla mano del signore e nel suo nome libereremo il mondo dalla tua immonda presenza!”

VOTO: 5

Soggetto: Barbato (4)

Sceneggiatura: Barbato (3)

Disegni: Brindisi (21)


lunedì 6 gennaio 2025

Dylan Dog n. 166 - Sopravvivere all'Eden

 

Un assassino dal volto deforme ha insanguinato la placida vita di Serenity. L'oasi perfetta, la comunità dell'armonia è attraversata da una vibrazione sinistra, mentre la violenza cresce giorno dopo giorno. C'è forse del marcio sotto quella crosta rosea? Il dottor Westwood non vuole ammettere che il suo esperimento possa fallire, non può credere che il ghigno mostruoso dell'assassino possa essere soltanto un'immagine nello specchio. Il vero volto di Serenity!

Partiamo dal primo tallone d'Achille, del tutto personale: i disegni di Cossu, mai troppo amati dal sottoscritto. Il Conte Ugolino ai miei occhi si è quasi sempre ben difeso bene nelle storie con elementi "da fiaba", tipo Ombre o L'antro della Belva, oppure in altre ironiche/grottesche come Risvegli o Il giorno del giudizio. Con l’aumentare della sua produzione durante le “gestioni” Marcheselli e Gualdoni il suo tratto ha però finito per essermi particolarmente indigesto. Il fatto che spesso in quegli anni, per sua sfortuna, gli siano anche state assegnate storie tutt’altro che memorabili non ha fatto altro che accentuare la mia idiosincrasia nei confronti delle sue tavole. In questo n. 166 non mi offre particolari motivi per ricredermi.

Per quanto riguarda il comparto narrativo, penso che il soggetto di Ruju fosse potenzialmente assai interessante, pur non essendo del tutto nuovo nel panorama dylaniato. Anche nel ben più riuscito Lama di Rasoio c’era una piccola comunità tendente alla perfezione, che in realtà celava l'iperviolenza di alcuni suoi cittadini (oltre a ben altro!). Qui però abbiamo l'aspetto inedito di Dylan tentato dall'integrazione nella comunità. Il problema è che la sceneggiatura non riesce a sviluppare nel migliore dei modi gli accattivanti spunti offerti dal soggetto, risultando scialba e totalmente priva di mordente; non posso nascondere che questa sensazione sia accentuata dalla staticità del tratto di Cossu. Da rilevare l’ assenza di scene veramente violente e splatter che in un albo come questo sarebbero state un toccasana (il confronto con il già citato #28 è impietoso, ripensando alle tavole trasudanti sadismo e gore di Tacconi), ma come abbiamo già avuto modo di notare, in quel periodo erano ormai entrati in vigore i famosi paletti “bonelliani” per limitare al minimo le scene truculente. Anche la sottotrama gialla non convince, in primis perché l'enigma dell'aspetto del presunto mostro, risolto da Dylan grazie a un improbabile, se non risibile, puzzle, ci viene urlata in faccia più volte con i vetri rotti, e poi perché l'identità dell'assassino è, a conti fatti, del tutto indifferente (poteva essere lui, come chiunque altro). Da salvare, in positivo, la scena dell'incendio con l'aggressione della mamma-assassina e da additare, in negativo, la scazzottata con i buzzurri di paese. Finale che lascia con l'amaro in bocca per il destino del dottore (anche qui c'era da andarci giù pesante) e il “Dylan affettapane”. Un Dylan peraltro che già si avviava ad essere sempre più noioso, moralista e compassato, anche se almeno ancora era sessualmente attivo (e “provolone” a tempo record). Infine, in un anno in cui ha saputo regalarci autentiche perle, la copertina di questo n. 166 si rivela, in controtendenza, una delle poche veramente brutte realizzate dal maestro Stano; riuscito male in particolare l’effetto della strada che va in pezzi.

BODYCOUNT: 2 + un numero imprecisato di teppisti

TIMBRATURA: Sì (1, Mathilda)

CITAZIONE: “Lo vedi? Qui la vita è così tranquilla, la gente così serena… non credevo esistessero più dei posti come questo”.

VOTO: 4,5

Soggetto: Ruju (31)

Sceneggiatura: Ruju (31)

Disegni: Cossu (11)


domenica 5 gennaio 2025

Maxi Dylan Dog n. 3 - La vita rubata

 

Chi non vorrebbe la vita di Dylan Dog? Avventure sulla soglia tra incubo e sogno, amori fulminanti, una sfida perenne con l'impossibile. Anche l'uomo senza nome condivide quest'opinione. Il suo talento è unico e irresistibile, non ha una vita propria e quindi ruba quelle degli altri. Per Dylan è il peggiore dei mostri: cacciato da Craven Road e scaraventato nei vicoli della miseria, per strappare a ogni giorno un boccone di sopravvivenza...

Ed eccolo qui il vero gioiello di questo Maxi, senza dubbio (mio almeno) la miglior storia mai pubblicata su questa testata. Una vera sorpresa arrivata per di più a firma di un esordiente, Fabrizio Accatino. Torinese, classe 1971, Accatino aveva iniziato a collaborare in Bonelli già nel 1993, quando appena ventunenne, aveva inviato in Via Buonarroti una sceneggiatura completa regolarmente acquistata dalla casa editrice ma mai disegnata e tantomeno pubblicata (per maggiori dettagli e altre curiosità vi rimando a quest’intervista pubblicata anni fa su cravenroad.it). Anche La vita rubata non ebbe la strada spianata. L’autore completò lo script già nel 1994, ma la storia rimase nei cassetti bonelliani per sei anni prima di vedere finalmente la luce. A soffiare il posto a Dylan ci aveva pensato anche Ruju nella breve L'altro apparsa sull’ottavo Gigante, ma qui si va a parare da tutt'altra parte. Accatino mette in difficoltà l’indagatore dell’incubo come forse nessun altro prima, spingendolo in una spirale di disperazione e costringendolo, metaforicamente parlando, a una discesa all'inferno e ritorno; d’altronde il romanzo Inferno di August Strindberg è una delle fonti di ispirazione dichiarate dell’albo. E tutto questo viene fatto senza abbandonare l'ironia (pregevoli anche le battute di Groucho), il gusto del grottesco, l'indagine (una vera e propria storia nella storia) e persino la critica sociale, senza incappare nella facile retorica. E’ quasi incredibile pensare che un autore così giovane e all’epoca anche senza esperienza nel mondo del fumetto sia riuscito a concepire una sceneggiatura quasi perfetta, condita da dialoghi brillanti e da una precisa cura dei particolari e della posizione dei personaggi all’interno delle singole vignette, con una scansione degli eventi che non perde mai ritmo. Indimenticabile il personaggio dell’odiosissimo ladro d’identità, di cui non sappiamo praticamente nulla (del suo passato, dei suoi poteri, della sua natura) alla faccia dello “spiegazionismo” imperante già ai tempi e del politicamente corretto. Una scelta vincente quella di rappresentarlo come un parassita che si nutre delle vite altrui, traendone il massimo vantaggio per il soddisfacimento dei propri bisogni estremamente materiali. In questo senso credo che la scelta di raffigurarlo come un barbone risponda a una precisa intenzione di Accatino, necessaria anche a confondere le idee sull'identità dell'assassino di clochard. Forse solo il finale non convince al 100%, ma la vera e unica nota stonata è per me rappresentata dai disegni di M&G, che non sono brutti, ma neanche riescono a elevare la sceneggiatura e resto convinto che in mano a un altro disegnatore ne sarebbe venuto fuori un capolavoro che avrebbe meritato la pubblicazione sulla serie regolare e garantito una maggiore popolarità tra i fan dylaniati. Resta la consolazione di aver almeno meritato l’onore della copertina del Maxi (nei due Maxi precedenti la cover era sempre stata dedicata alla prima delle tre avventure dylaniate) in cui Stano fa indossare i vestiti del nostro anche al suo antagonista, al contrario di ciò che accade nella storia.

Un incredibile esordio per Accatino che invito caldamente coloro che se lo fossero perso a recuperare.

Curiosità: Il titolo a cui aveva pensato Accatino per la storia era “Inferno”, in omaggio al già citato romanzo di Strindberg e all’omonimo film di Claude Chabrol uscito nel 1994.

BODYCOUNT: 7

TIMBRATURA: Addirittura un poker! Peccato che lo metta a segno “l’altro” e quindi non vale!

CITAZIONE: “D’accordo, quell’uomo è un negriero, è insopportabile, rozzo, fastidioso, antipatico, borioso, misantropo e taccagno. Ma è pur sempre il mio capo”.

VOTO: 9

Soggetto: Accatino (1)

Sceneggiatura: Accatino (1)

Disegni: Montanari & Grassani (37)


sabato 4 gennaio 2025

Maxi Dylan Dog n. 3 - Cavie umane

 


Irina non ce la fa, non riesce a reggere la pressione della vita. Ha bisogno di "farsi", di buttare giù le pillole che la fanno sentire meglio, per allentare almeno un po' la morsa soffocante della realtà. Sono in tanti come lei, divorati dagli spacciatori, dentro e fuori dagli ospedali. Ma qualcosa di peggio sta accadendo ai suoi amici, la "roba" che gira ha degli strani effetti collaterali. Qualcuno l'ha diffusa per scopi segreti, qualcuno li sta usando… come cavie umane!

Ancora una storia poco dylandoghiana per De Nardo. Si parte in stile Drugstore Cowboy (film di Gus Van Sant del 1989 che vede protagonisti un quartetto di giovani tossicodipendenti dediti a furti in farmacia e ospedali) per poi virare verso oscuri complotti di cause farmaceutiche. Tra l’altro l'idea delle “cavie umane”,  titolo anche un po’  spoileroso se vogliamo, non è neppure originale per la serie: ci aveva già pensato Chiaverotti con Feste di Sangue, dove gli effetti della sostanza ingerita dagli inconsapevoli barboni avevano effetti decisamente più splatter e divertenti. La misteriosa droga di questa storia invece amplifica i sensi di chi la assume, provocando delle visioni e la capacità, vera o immaginata, di poter parlare con gli spiriti di coloro che sono appena defunti, unico piccolo tocco horror che ci ricorda che stiamo leggendo un albo di Dylan Dog (anche se il nostro qui è davvero poco protagonista). Interessante la scelta narrativa di affidare buna parte del racconto al personaggio di Irina tramite didascalie. Troppo poco comunque per salvare una storia che è senza dubbio la peggiore delle tre ospitate su questo terzo Maxi.

Un appunto che vale per tutto il Maxi (o forse per tutti i Maxi): i disegni di M&G, a parte qualche interessante primo piano, risultano piuttosto “standardizzati” e poco incisivi; di certo non esaltano le storie che sono chiamati a illustrare. Conservano, però, un certo dinamismo e quell’aria di “familiarità” per il lettore, anche occasionale, che ha contribuito più di ogni altra cosa al successo di questa testata.

BODYCOUNT: 9

TIMBRATURA: No

CITAZIONE: "Per un tossicomane sembra impossibile poter tornare alla normalità. L'imprevedibilità del futuro lo terrorizza. Preferisce leggere a chiare lettere quello che gli succederà sull'etichetta di un farmaco."

VOTO: 5

Soggetto: De Nardo (4)

Sceneggiatura: De Nardo (4)

Disegni: Montanari & Grassani (36)

venerdì 3 gennaio 2025

Maxi Dylan Dog n. 3 - La radio fantasma

 

Ti senti solo, sei infelice. Perché non telefoni a Elmer? Ha sempre una parola speciale, e per ogni tuo problema troverà una soluzione… definitiva. Un segnale radio dall'origine sconosciuta e un serial killer dedito alla vivisezione. Vent'anni dopo il suo ultimo delitto, il terribile Chirurgo è tornato a colpire. È sua quella voce che viene dal nulla?

Terzo Maxi aperto, come il primo, da una storia di Ruju che qui confeziona un giallo non banale anche se un po' troppo verboso (si sa che ai dj non difetta la parlatina, però..), tagliando il traguardo delle 30 sceneggiature dylaniate! Lo spunto per il soggetto è forse rinvenibile in una rilettura in chiave horror di Talk Radio, film del 1988 di Oliver Stone; d’altronde il programma di Elmer Masters si intitola “Parole nella notte” e su un suo poster viene definito “the voice of the night”  (nel film “Voci nella notte” era il programma radiofonico condotto dal protagonista). La soluzione finale, invece, e qui occhio al gigantesco SPOILER potrebbe essere stata suggerita da Face/Off, film diretto da John Woo nel 1997 FINE SPOILER. Evidenti anche alcuni riferimenti “argentiani”: l’esibizione delle armi da taglio, i guanti e l’impermeabile indossati dall’assassino, il particolare rivelatore, il muro che cela (come in Profondo Rosso, anche se qui è scorrevole) la verità sul passato del colpevole. Soprattutto però la storia rimanda con piacevole nostalgia a quei bei gialli dylandoghiani dei primi 100 come Giorno Maledetto o Scritto con il sangue, senza però quella sana dose di splatter ed emoglobina che all’epoca era sdoganata e funzionava alla grande soprattutto quando matite e chine erano tra le mani di Montanari & Grassani, come nei due albi appena citati. Di questo non si può dare colpa a Ruju, i tempi in Bonelli erano cambiati e si era adottata una certa “prudenza” a livello grafico. Da segnalare un problemino di collocazione temporale: Bloch dice che "il chirurgo" ha smesso di uccidere nel '79 e Dylan sostiene di essere appena entrato a Scotland Yard all'epoca. Ma allora quanti anni ha Dylan visto che da allora sono passati ventanni???

Curiosità: (1)Da segnalare un paio di refusi. A pag. 74 (70° tavola), ultima vignetta, “nel modo più brutale” viene ripetuto due volte nella stessa frase. Nel flashback di pag. 81 (77° tavola) il logo della WRPO campeggia sull’edificio in fiamme benché all’epoca la stazione radiofonica non fosse ancora stata fondata. (2) Nell’editoriale di pag. 2 del Maxi viene svelato come si dividevano solitamente il lavoro M&G, premettendo però che i due erano intercambiabili: Grassani tracciava i disegni a matita, Montanari li ripassava a china.

BODYCOUNT: 8

TIMBRATURA: No

CITAZIONE: “Che cos’è la morte in fondo? Un’illusione. Un cambiamento. Ma non abbiate timore. Elmer Masters sarà sempre con voi, ogni notte, sulle frequenze della SBC”.

VOTO: 6,5

Soggetto: Ruju (30)

Sceneggiatura: Ruju (30)

Disegni: Montanari & Grassani (35)


giovedì 2 gennaio 2025

Dylan Dog #165 - L'isola dei cani

 

Non li sentite ringhiare? Stanno arrivando, o meglio stanno tornando come fantasmi rabbiosi, affamati come… cani! Li guida il pirata Moore, mandato sulla forca nel 1703 e sputato dall'Inferno per regolare un conto in sospeso. Cosa lega la leggendaria Isola Nera ai quartieri della moderna Londra? Quale antica stregoneria si nasconde nel caveau della banca Hoskins, Hoskins & Wayne? Le risposte galleggiano nell'occhio dell'impiccato...

Esordio dylaniato in qualità di sceneggiatore per Mauro Boselli, già collaboratore Bonelli di lungo corso, autore di storie per Tex e Zagor di cui era all’epoca anche curatore. Per Dylan in verità aveva già curato il dossier dedicato ai fantasmi apparso sul secondo Almanacco della Paura e quello dedicato ai lupi mannari sull’Almanacco del 1994, ma mai prima di allora si era cimentato ai testi di una storia dell’indagatore dell’incubo. Ad oggi peraltro questo rappresenta l’unico suo albo scritto per la serie ammiraglia dylaniata e uno dei due soli script realizzati per il personaggio. Probabilmente questo suo debutto doveva servire da traino per il lancio di Dampyr, la serie creata da Boselli in collaborazione con Maurizio Colombo che aveva debuttato in edicola neanche due mesi prima. Ma di Harlan Draka e compagni ne L’Isola dei cani non c’è alcun accenno, se non la “marchetta” nella Post dell’inedito (il crossover con Dylan avverrà sì, ma in tempi molto più recenti). La storia ha più il sapore dell’avventura fantastica con venature horror di stampo zagoriano ed evidente influenze “stevensoniane” (non a caso il cliente di Dylan si chiama David Balfour, come il protagonista del romanzo Il ragazzo rapito di Robert Louis Stevenson). Qualche problemino c’è, sia in fase di sceneggiatura sia nella gestione del personaggio. I primi riguardano in particolare la parte conclusiva, con l'incursione fin troppo disinvolta di Dylan nel caveau della banca e il poco giustificato transfer con i due modellini liquidato brevemente con la magia “analogica” e l’immancabile spiegone finale; è evidente inoltre un’eccessiva verbosità. I secondi sono disseminati un po' dappertutto, con un Dylan che se la cava con la tecnologia (anche se invero se ne stupisce) ma dimentica il suo quinto senso e mezzo e si perde spesso in quei "mumble mumble" che vedremo spesso in seguito durante la gestione Gualdoni, nonostante si mostri particolarmente attivo nell’indagine. Però le allucinazioni piratesche, i tuffi nella Londra del passato, il naufragio nell'isola "esotica", l'originalità della sia pur perfettibile trama, le battute di Groucho e i disegni di un sempre ottimo Casertano valgono alla grande il prezzo del bigliet.. ops, dell’albo. Della copertina di Stano non mi piace molto lo sfondo nuvoloso, il resto è ok, in particolare la tonalità scelta accentua bene l’atmosfera lugubre già suggerita dalla presenza della forca.

Curiosità: (1) Come rivelato dallo stesso Boselli in un'intervista rilasciata al canale Pop Culture (che potete visionare qui), originariamente la storia era stata concepita per un DYD Gigante di 224 pagine, con trama incentrata sul Dylan del '600 ad indagare sulla morte del drammaturgo Christopher Marlowe. Dopo 60 pagine di sceneggiatura già pronta, tuttavia, Casertano propose il riadattamento per la serie regolare e così l'albo prese la forma e la sostanza che oggi tutti conosciamo. Il che spiega inoltre la disomogeneità dello script nella parte finale. (Si ringrazia vivissimamente Leprecano per la segnalazione e per averne trovato anche la fonte!) (2) A pag. 9 citazioni dal dramma La tempesta di William Shakespeare, di cui vediamo in bella vista il tono nella seconda vignetta della pagina successiva.

BODYCOUNT: 9

TIMBRATURA: No

CITAZIONE: “Questa è l’isola dei cani, no? Di che cosa ti meravigli? E’ solo un altro dei motivi per cui i forestieri devono tenersi alla larga dall’isola!”

VOTO: 7

Soggetto: Boselli (1)

Sceneggiatura: Boselli (1)

Disegni: Casertano (21)


mercoledì 1 gennaio 2025

Dylan Dog #164 - La donna urlante

 

Cosa nutre la fabbrica dell'arte? Passioni ossessive, gioia e angoscia, malinconia e rabbia. Celia Kendrick ha riversato tutta sè stessa nella sua opera, nel suo capolavoro: la Donna Urlante. Ma la forza dei suoi sogni va oltre il suo controllo ed è tale da dar vita al metallo e spingere la scultura a uccidere! Dylan Dog deve dare la caccia a un mostro dal cuore di ferro, per scoprire chi o cosa si nasconde dietro la maschera dell'urlo!

Storiella leggera leggera di Ruju che avrebbe trovato miglior collocazione sul Maxi, a cui forse doveva essere originariamente destinata. Evidente fonte di ispirazione, anche se non ci viene rivelata sul Club dell’Orrore, è il romanzo La statua che urla (The Screaming Mimi), scritto nel 1949 da Fredric Brown e già fugace spunto per l’esordio cinematografico di Dario Argento, L’uccello dalle piume di cristallo. L’autore dylaniato però va a parare da tutt’altra parte, confezionando uno di quelli che alcuni lettori, a volte piuttosto ingenerosamente, hanno ribattezzato “gialletti alla Ruju”, spruzzandoci sopra un alone di soprannaturale e chiudendo con un finale dal vago sapore chiaverottiano. In verità non ci sono grossissimi difetti di sceneggiatura (anche se non si capisce bene come il nostro possa essere arrivato alla soluzione del caso), ma si avverte una certa piattezza narrativa che non riesce a far brillare un plot già in larga parte scontato. Come nelle prove meno riuscite del buon Pasquale, ritroviamo qui un Dylan “accessorio” nell’economia della vicenda che potrebbe funzionare anche senza di lui, così come tutto sommato inutile è la sua fidanzata di turno, talmente indimenticabile che il nostro si addormenta in pieno pomeriggio mentre l’attende in macchina! Tutto sommato sufficiente la prova del duo M&G, che all'epoca fui contento di rivedere all'opera sulla serie regolare, penalizzati dalla quasi totale assenza di splatter (gli omicidi avvengono per lo più fuori campo) che loro invece sapevano esaltare come pochi. Niente male invece la copertina di Stano che aggiunge altre inquietanti opere d’arte accanto alla bellissima e minacciosa “statua urlante”, con un bel gioco di luci e ombre su tonalità calde.

Mediocre e dimenticabile, ma si lascia leggere.

Ho dubbi (il primo piano di Philip Lark a pag. 94 manco sembra loro)

Curiosità: (1) Ci vorranno 6 anni per rivedere il dinamico duo sulla serie regolare. (2) Ho qualche dubbio sulla paternità del primo piano di Philip Lark nella quarta vignetta di pag. 94. (3) Nella Post (inedito) campeggia un simpatico disegno realizzato da Bruno Brindisi per invitare i lettori all’uso del casco in moto.

BODYCOUNT: 7

TIMBRATURA: Sì (1, Sandra)

CITAZIONE: “N-non c’è tempo… la donna… la “donna urlante”… era qui per vendicarsi”.

VOTO: 5

Soggetto: Ruju (29)

Sceneggiatura: Ruju (29)

Disegni: Montanari & Grassani (34)