mercoledì 7 febbraio 2024

In edicola: Dylan Dog #449 - La misura del mondo

 

Quando il piccolo Donald scompare dall’orfanotrofio, tutto fa pensare a un caso di allontanamento volontario. Qualcuno sostiene che sia scappato, altri lo hanno visto camminare per strada insieme a un altro bambino. Ma la giovane Lu, impiegata dei servizi sociali, è convinta di essere in contatto telepatico con lui e di temere per la sua incolumità. L’unico disposto a crederle è Dylan Dog, sebbene le visioni della ragazza conducano a un luogo impossibile: l’isola volante descritta da Jonathan Swift in “Gulliver”.

Difficile, tremendamente difficile commentare con qualsiasi parvenza di obiettività o di distacco l’ultimo albo realizzato dal “Conte” Ambrosini per la serie regolare dylaniata. Non sarà, fortunatamente, l’ultima storia in assoluto a portare la sua firma; ne seguirà ancora una “completa” per l’Old Boy e un’altra solo scritta, disegnata da Ornigotti, per il Color Fest. Però è questo n. 449 a rappresentare il vero commiato a questo grandissimo artista scomparso solo da pochi mesi, lasciando un vuoto incolmabile non solo nei cuori e nei pensieri dei lettori bonelliani, ma in tutto l’ambiente del fumetto italiano. Lo capiamo fin dalla copertina, splendida, dei fratelli Cestaro, in assoluto la migliore di quelle che finora ci hanno regalato. Una cover che è un gigantesco omaggio ad Ambrosini e ai “suoi” personaggi: Napoleone, Nico Macchia, Dylan Dog...  Eh sì, anche Dylan è un po’ suo avendo disegnato numeri fondamentali come Il lungo addio (vedi la ruota panoramica), I vampiri o Margherite che hanno fatto e ancora fanno parte delle nostre vite di fan dylaniati. Senza dimenticare quell’Arlecchino che dai tempi di Una nuova vita fa spesso capolino nelle sue storie, ricordandoci, insieme ad altri particolari, che la copertina parla anche di questa storia. Mi piace tutto del lavoro dei Cestaro, dalla colorazione, alla profondità, dal concept alla cura dei particolari. Soprattutto adoro l’espressione malinconica ma allo stesso tempo serena dei personaggi che sembrano ricambiare, silenti, il saluto del Conte (è lui, vero?) a bordo dell’automobile volante. Proviamo allora a parlare di quest’albo postumo, il cui titolo di lavorazione era Gulliver, nome non casuale perché, oltre a ricorrere spesso nella sceneggiatura, testimonia la forte influenza del romanzo di Jonathan Swift (e il suo messaggio misantropico) sul soggetto. La componente “napoleonica” è sempre stata presente nei testi dell’autore fin dai tempi di Dietro il sipario, ovvero fin da prima ancora che lo stesso Napoleone debuttasse in edicola, anticipandone temi e atmosfere. Qui però questo marchio di fabbrica è ancor più evidente, tanto da generare il legittimo dubbio che questa storia nasca come costola dylaniata di un soggetto scritto per la serie dell’albergatore ginevrino. Lo si intuisce dalla struttura del racconto, dal mood, da un Bloch in versione ispettore Dumas e dalla presenza dell’agente Garret che sembra il gemello inglese di Boulet, tanto fisicamente quanto nei modi. Dylan si inserisce marginalmente nella vicenda, risultando però alla fine risolutivo, proprio come accadeva a Napoleone nelle sue avventure. Sembra anche molto più misurato nel solito nel rapportarsi con la quasi-cliente di turno, la risoluta e allo stesso tempo fragile Lu, che Ambrosini ha dipinto ad immagine e somiglianza della moglie. C’è da dire che, rispetto agli standard ambrosiniani, la sceneggiatura di questo n. 449 appare decisamente più lineare e meno ermetica del solito, pur mantenendo intatto l’inconfondibile fascino narrativo tipico delle opere del Conte, lasciando per strada anche qualche apparente incongruenza. Piccole note dolenti arrivano anche dai disegni. Ormai da diversi anni Ambrosini ha abbandonato, per scelta e tempistiche, il suo stile morbido e raffinato degli esordi, asciugando ed estremizzando il suo tratto per mettere i disegni sempre più a servizio della storia. In questo caso si va oltre… e di parecchio. Le sue tavole lasciano un senso di incompiutezza, in alcuni casi sembrano addirittura bozze e le fisionomie dei personaggi mutano spesso da una vignetta all’altra. Sullo squilibrio delle proporzioni anatomiche non mi sbilancio (vedi ad es. le manone di Dylan a pag. 45) perché potrebbe rappresentare una precisa scelta dell’autore volta ad accentuare la differenza fisica con i personaggi affetti dalla sindrome di Lilliput. Devo ammettere di essere rimasto spiazzato dal risultato, ma questo effetto straniante, a conti fatti, si rivela un plus per la storia, anche se non tutti potrebbero apprezzare. Anzi, in molti potrebbero addirittura rimanerne delusi.

Non sarebbe un albo imperdibile, di per sé. Ma è l’addio ambrosiniano alla serie regolare. E io vorrei potermi idealmente sedere accanto a Dylan in quella meravigliosa copertina per rivolgere un ultimo saluto al Conte.

Curiosità: Sull’Horror Club anche Tiziano Sclavi ha voluto ricordare affettuosamente l’amico recentemente scomparso.

BODYCOUNT: 2

TIMBRATURA: No

CITAZIONE: “Quelli come noi sono caduti da un altro pianeta… O forse da un’isola volante… Siamo estranei su questa terra...”

VOTO: 7

Soggetto: Carlo Ambrosini

Sceneggiatura: Carlo Ambrosini

Disegni: Carlo Ambrosini

Uscita: Febbraio 2024

lunedì 8 gennaio 2024

Dylan Dog #163 - Il mondo perfetto

 

Tua madre, la tua sorellina Joy, la tua fidanzata. Qui tutti ti vogliono bene, tutto è sereno e il tempo scorre senza scossoni. L'incidente ti ha tolto la memoria, ma non importa... Ricorderai prima o poi, senza fretta. Dylan Dog è chiuso in un incubo che ha le gentili sembianze del sogno, stretto nella morsa di un mondo perfetto. Lo ha creato una mente infantile, una coscienza terrorizzata dalla realtà!

Stranissimo albo questo n. 163. Racconta una storia ma sembra non raccontare nulla. Un nulla che Sclavi è capace di sceneggiare bene, con tutto il suo mestiere. Dopo averci illuso con Il sorriso dell’oscura signora, il Tiz torna qui a lavorare su un soggetto altrui, suggerendo così, ancora una volta, come la sua vena creativa fosse ormai in riserva piena da un pezzo. Che cosa abbia messo di suo nel canovaccio scritto da Paola Barbato non è dato sapersi (forse la presenza di Dylan?), fatto sta che nonostante la firma di due “pesi massimi” ai testi questa storia non ha lasciato un segno indelebile nella serie, pur rimanendo generalmente assai apprezzata dai lettori. Dal materiale di partenza Sclavi elabora una sceneggiatura fatta di pochissimi dialoghi (si legge in un attimo) e tante suggestioni (la casa delle bambole), simbolismi (le mani giganti, la cavità uterina/tunnel della morte), allucinazioni (i personaggi che si dissolvono in bolle) e momenti onirici (il mondo-asteroide di pag. 67), forse con una vaga ispirazione “baviana” (Operazione Paura). Si ha però la sensazione che le pagine a disposizione fossero in eccesso e che si sarebbe potuto sforbiciare parecchio. D’altronde lo stesso Tiziano, in coppia con Stano, nove anni prima con La bambina era riuscito a raccontare una storia vagamente simile a questa in sole 14 tavole! Eppure questa sensazione di girare a vuoto, di raccontare qualcosa che non succede, coniugata ai disegni di Roi, paradossalmente riesce a creare un’atmosfera straniante che avvicina il lettore allo smarrimento di Dylan. Arriva poi quasi improvviso il finale che pecca nel voler spiegare tutto, troppo, ma fortunatamente riesce a mantenersi ambiguo grazie al personaggio dello “zio” Max. La conclusione segue invece l’onda del buonismo che ormai imperava nella serie, al contrario dei bei tempi andati, ma ci può stare. Roi non regala qui una delle sue prove migliori, ad esempio Joy in alcune vignette sembra una donna fatta e non una bambina, la qualità delle tavole è altalenante, eppure il suo tratto e la sua padronanza del chiaroscuro si rivelano terribilmente efficaci nel valorizzare una storia come questa che funzione soprattutto per immagini. Bella la copertina di Stano nonostante la buffa postura di Dylan che rischia di essere risucchiato dal vortice, realizzato con un buon effetto tridimensionale. Inquietantissima la bambola in fondo a destra che sembra fissarci con astio!

Un albo imperfetto, a dispetto del titolo, ma a suo modo affascinante.

Curiosità: Viene citato Il violinista, la storia ospitata sull'Almanacco della Paura 2000, all'epoca uscita da pochi giorni in edicola.

BODYCOUNT: 0

TIMBRATURA: No

CITAZIONE: “Piccola mia! Non piangere… non piangere, vedrai, la vita è bella…”

VOTO: 8

Soggetto: Sclavi (118), Barbato (3)

Sceneggiatura: Sclavi (126)

Disegni: Roi (34)

venerdì 5 gennaio 2024

Almanacco della Paura 2000 - Il violinista

 

La musica è tutto per lui, gli scorre tra le dita come una forza rigenerante e soltanto da lei trae la forza di vivere. Deve continuare a suonare, continuare a ricamare il tessuto delle sue tristi melodie notturne, le dolci serenate che rivolge a tutte le sue vittime! Un nuovo assassino è libero di colpire, inafferrabile come un assolo di Paganini. E per Dylan c'è un solo indizio, sottile e tagliente… come una corda di violino!

Ad eccezione di quelle sceneggiate da Sclavi e, in parte, da Chiaverotti (La maschera del demonio), non si può dire che l’Almanacco avesse ospitato, sino ad allora, storie memorabili. Anzi, a partire dalla metà degli anni ‘90 c’è da registrare un progressivo calo qualitativo delle avventure dylaniate ospitate su questa testata. Un trend che, purtroppo, continuò anche con l’Almanacco della Paura 2000, per poi fortunatamente interrompersi l’anno successivo. Il violinista è una storia deludente già a partire dall’idea dell’improbabile associazione di donne influenti che elargisce annualmente premi milionari a uomini meritevoli dotati di “fortezza, giustizia, prudenza e temperanza”. Considerate le premesse non aiuta l'indecisione di Ruju sul registro da imporre alla sceneggiatura, troppo ondeggiante tra il serio e il faceto. A mio (fallibile) parere sarebbe stato preferibile privilegiare il secondo, magari con l'apporto di un disegnatore più adatto come un Saudelli ad esempio. Invece il buon Pasquale punta maggiormente sulla serietà, affidandosi ai collaudati schemi del giallo. Da qui in avanti seguono inevitabili spoiler. La trama si dipana in modo traballante, svelando troppe carte all'inizio: si capisce subito che Walerian non è uno stinco di santo, tant'è che la stessa presidentessa del circolo, evidentemente a conoscenza della natura del suo “protetto”, gli domanda in maniera retorica se sia coinvolto nelle sorti avverse occorse ai candidati al premio, alcune delle quali concluse tragicamente con la morte. Mancano poi altri possibili sospettati con cui cercare di depistare il lettore dall'ovvia identità dell’assassino. In compenso abbondano le perplessità: Dylan è così esperto di violini da riconoscere, con una semplice occhiata veloce, che quello utilizzato da Walerian è uno strumento per mancini? Quando sarebbe stata diluita la colla utilizzata da Dylan per montare il galeone? Nel 1986?? La polizia conclude che l’assassino è altissimo e ciò è evidenziato nella scena dell’omicidio di Jann, ma in seguito la sua altezza sembra assolutamente normale. Il serial killer viene soprannominato “il violinista” perché si diverte a suonare prima e dopo gli omicidi, cosa che però non avviene affatto nell’omicidio di Annie. E si potrebbe continuare. Salvabili, comunque, le sequenze di alcuni omicidi. Ai disegni Rinaldi si conferma purtroppo non al top della forma come nella precedente storia da lui illustrata, La banda dello zodiaco. La sua prova è piuttosto scialba, poco ispirata; i suoi personaggi poco espressivi. Qualche bella vignetta c’è (tavole 24-25, tavola 59), ma non basta a farmi rivalutare in positivo questo suo lavoro. La copertina di Stano, invece, se apprezzata nel suo insieme è davvero molto bello; colpisce in particolare il retro, con la Morte intenta a suonare il violino in onore di una vittima.

Dei dossier dell’Almanacco consiglio quello sugli “insetti del terrore” a firma di Gianmaria Contro e soprattutto (dal momento che trattasi di argomento di nicchia) quello su “Virus”, il mad doctor a fumetti creato nel 1939 da Federico Pedrocchi (l’articolo contiene anche un box su Frieda Boher, protagonista di Necron, breve serie a fumetti disegnata dal grande Magnus!).

Curiosità: (1) Se non fosse per la pettinatura, Walerian avrebbe una certa somiglianza con… Xabaras! (vedasi il primo piano, terza vignetta, pag. 100 – o tavola 68). (2) A pag. 61 (29° tavola) Dylan afferma che il modus operandi del “Violinista” gli ricorda per certi versi l’uomo invisibile. Quasi una blasfemia accostare questa storia a Memorie dall’invisibile!

BODYCOUNT: 8

TIMBRATURA: Sì (1, Katharine)

CITAZIONE: “Il modo in cui ha suonato sotto casa tua... non aveva mai raggiunto una simile intensità… un dolore così grande… conosco un solo uomo capace di suonare così.”

VOTO: 4,5

Soggetto: Ruju (28)

Sceneggiatura: Ruju (28)

Disegni: Rinaldi (5)